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Roberto bartali.it

Dicembre 2005

2 dicembre 2005 (dagospia)
Moro: NEL COVO DI VIA GRADOLI FURONO TROVATE 18 BOBINE: CHE FINE HANNO FATTO? CONTENGONO LA REGISTRAZIONE DEGLI INTERROGATORI DELLO STATISTA Dc? DAL RAPPORTO DELLA SCIENTIFICA: "UNA VOCE MASCHILE PARLA CON COMPAGNI". - Giovanni Fasanella per Panorama.

Uno dei misteri del caso Moro, quello delle bobine con la registrazione degli interrogatori dello statista dc nella «prigione del popolo», dopo 25 anni potrebbe finalmente trovare una soluzione. La chiave potrebbe essere tra le 18 audiocassette scoperte dalla polizia nel covo br di via Gradoli a Roma, nell'aprile 1978, e a cui nessuno prima aveva mai attribuito l'importanza che meritavano. Il valore di quella scoperta lo indica oggi a Panorama l'avvocato Walter Biscotti, legale della famiglia di Emanuele Petri, l'agente di polizia caduto in uno scontro a fuoco con le Brigate rosse sul treno Roma-Firenze nel marzo 2003. Che la soluzione del giallo possa celarsi proprio lì dentro è una conclusione a cui il legale è arrivato incrociando una serie di informazioni ricavate dalla lettura degli atti delle inchieste (giudiziarie e parlamentari) sul caso e sull'assassinio di Aldo Moro.

Dell'esistenza di registrazioni degli interrogatori era sicuro il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, al punto da domandarsi, davanti alla commissione parlamentare d'inchiesta, dove fossero finite. E diverse conferme vennero successivamente dagli stessi brigatisti, i quali però aggiunsero che le bobine erano state distrutte. Ma in che modo? Lo disse Valerio Morucci alla commissione Stragi, presieduta da Giovanni Pellegrino: mediante sovraincisione. I brigatisti, insomma, cancellarono gli interrogatori di Moro effettuando nuove registrazioni. Quando l'avvocato Biscotti si è imbattuto nel verbale di sequestro dei materiali rinvenuti nel covo di via Gradoli, la base operativa di Mario Moretti, la sua sorpresa è stata enorme. Oltre a diversi registratori e altre apparecchiature, la polizia aveva trovato anche le 18 audiocassette. Una notizia che il legale non conosceva né aveva trovato nella sterminata letteratura sul caso Moro. Secondo il rapporto della scientifica, diverse cassette erano ancora vergini, su altre erano incise canzoni di Gabriella Ferri e Bob Dylan. Ma due erano le più interessanti. Una conteneva una conversazione in inglese (a quanto pare mai tradotta). Dell'altra ecco cosa dice il rapporto della scientifica: «Nella prima parte sono incisi alcuni canti rivoluzionari come pure nella seconda parte; sempre nella seconda parte una voce maschile parla con compagni, per pochi giri, per discutere di alcuni articoli».

Questo significa, è la conclusione dell'avvocato Biscotti, che quella cassetta conteneva la registrazione di un colloquio che la sovraincisione di inni rivoluzionari non era riuscita a cancellare del tutto. Di chi era la «voce maschile» che si rivolgeva ai «compagni»? Le nuove tecnologie oggi potrebbero consentire di dare una risposta a questa domanda. Commenta Rosario Priore, giudice istruttore delle prime cinque inchieste sul caso Moro: «Ho l'impressione che siamo di fronte a una scoperta interessante. Le audiocassette di via Gradoli apparivano al tempo o vergini o smagnetizzate. Se con nuove tecnologie già sperimentate in recenti inchieste si dovesse riuscire ad ascoltare e a trascrivere la registrazione cancellata, sicuramente se ne trarrebbero informazioni di rilievo. Sia che si tratti di registrazioni degli interrogatori di Moro sia che si tratti di conversazioni tra brigatisti». L'esistenza di quelle 18 audiocassette è una novità per Pellegrino, che pure ha indagato sul caso Moro per sette anni: «Non ne ho mai saputo nulla. Se contenessero davvero le registrazioni degli interrogatori di Moro, potremmo finalmente capire perché il sequestro si concluse tragicamente». freccia rossa che punta in alto

7 dicembre 2005
(Lino Jannuzzi per Panorama) MORO PER SEMPRE - JANNUZZI CONTROCORRENTE SU PRODI E LA SEDUTA "SPIRITICA": "SE DIETRO GLI SPIRITI CI FOSSE STATA LA "FONTE", ALLORA SÌ CHE AVREBBERO CREDUTO AGLI SPIRITI E SI SAREBBERO COMPORTATI MOLTO DIVERSAMENTE"...

Ventisette anni dopo ancora si discute sulla seduta spiritica sul covo brigatista cui parteciparono Prodi e 11 professori.

Il primo a non crederci fu Leonardo Sciascia. Membro della commissione parlamentare d'inchiesta sul rapimento e l'assassinio di Aldo Moro, scrisse nella sua relazione di minoranza: "E non meravigli che negli atti di una commissione d'inchiesta si parli, come in una commedia dialettale, di una seduta spiritica: ma 12 persone, come si suol dire, degne di fede, e per di più appartenenti al ceto dotto della dotta Bologna, sono state sentite una per una dalla Commissione e tutte hanno testimoniato della seduta spiritica loro tenuta e da cui è venuto il nome di Gradoli. Non una di loro si è dichiarata esperta o credente riguardo a fenomeni del genere; tutte hanno parlato di una atmosfera "ludica" che attorno al "piattino", e agli altri elementi necessari all'evocazione, si era stabilito in un pomeriggio uggioso: di gioco, dunque, di passatempo. E non solo tutti sembravano, nel riferire alla Commissione, credere alla "semovenza" del piattino; ma di fatto ci credettero, se l'indomani ne riferirono alla Digos di Bologna e, successivamente, al dottor Cavina, capo dell'ufficio stampa dell'onorevole Zaccagnini". E da allora è stato un coro. Da Francesco Cossiga, all'epoca del rapimento di Moro ministro dell'Interno, a Giulio Andreotti, all'epoca presidente del Consiglio, al senatore Giovanni Pellegrino, presidente per 13 anni della commissione d'inchiesta sulle stragi e sul terrorismo, fino a Paolo Guzzanti, presidente della commissione Mitrokhin, tutti quelli che ne hanno parlato e scritto nel corso di questi 27 anni hanno mostrato di non crederci e hanno dileggiato Romano Prodi e i suoi 11 colleghi dell'Università di Bologna. I quali per 27 anni si sono ostinati a testimoniare della seduta spiritica e a giurare della semovenza del piattino.

La tesi dei miscredenti è stata sempre la stessa: la seduta spiritica era stata soltanto una messinscena per mascherare il fatto che qualcuno dei professori, più probabilmente lo stesso Prodi, aveva appreso del covo delle Br a Roma (che fu appunto scoperto molto tempo dopo in via Gradoli) da qualche giovane studente di Bologna, uno di quelli che militavano in Autonomia operaia o in Potere operaio e che erano in qualche modo in contatto con i rapitori di Moro. Prodi e i professori volevano riferirlo alle autorità ma al tempo stesso non volevano rivelare la fonte della notizia, per non inguaiarla.
Ma questa versione dei fatti è veramente più "razionale" e credibile di quella della seduta spiritica? Vediamo. Un giovane studente operaista rimasto per tutto questo tempo sconosciuto (i 12 professori li abbiamo conosciuti tutti, sono noti e stimati, uno è diventato presidente del Consiglio, due o tre sono stati ministri, non tutti sono indiziati di simpatie di sinistra, uno è addirittura di Alleanza nazionale ed è sottosegretario in carica) viene a conoscere il segreto più segreto e pericoloso del covo romano delle Br e decide di rivelarlo a personaggi che non hanno niente a che fare con i terroristi, addirittura lo confida a un dc amico del rapito o degli amici del rapito, che è il leader della Dc. Perché?

Il professor Prodi, appresa la notizia, decide di farla conoscere. Perché? Evidentemente per scrupolo e nella speranza di contribuire a salvare Moro. Ma non lo fa subito, e non riferisce a chi di dovere. Non corre alla Digos di Bologna o a Roma da Benigno Zaccagnini. Aspetta il weekend e va con gli amici a una scampagnata. E non racconta agli amici e ai colleghi la verità, ma s'inventa la seduta spiritica. O, peggio ancora, glielo dice, li invita a tenere il segreto, a partecipare con lui alla sceneggiata. Questi professori sarebbero o completamente stupidi, tutti e 11, o consapevolmente complici, tutti e 11; e lo resteranno per 27 anni: coprendosi di ridicolo e rischiando un'incriminazione per depistaggio e per favoreggiamento. E perché?
Per coprire, si ipotizza, il giovane studente. Il quale, se scoperto, avrebbe corso meno rischi di loro, perché poteva sempre passare per un "pentito" e beneficiare del perdono, specialmente se avesse così contribuito a fare scoprire il covo delle Br e magari a salvare la vita di Moro. E né a Prodi né ai suoi colleghi viene in testa che si poteva fare in maniera più credibile, si poteva coprire la fonte magari raccontando di avere ricevuto una telefonata anonima.
Non basta, una volta tutelata la fonte Prodi perde ancora tempo. Non corre la sera stessa o il giorno dopo alla Digos o a Roma, ma si intrattiene all'università e la racconta in giro, agli altri colleghi e anche a un criminologo, suscitando e agitando sempre più incredulità e sospetti. Gli altri 11 non fanno nemmeno questo e non lo consigliano o sconsigliano, si disinteressano della cosa.
Prodi va a Roma solo due giorni dopo e non ci va appositamente, per riferire, ma per un convegno. E non si precipita da Cossiga o da Andreotti o da Zaccagnini. Sale con comodo le scale di Piazza del Gesù e si ferma nella stanza dell'addetto stampa di Zaccagnini. E soltanto allora, tre o quattro giorni dopo la rivelazione della "fonte", la notizia arriva a destinazione: con poche parole vergate in fretta su un biglietto passato dall'addetto stampa di Zaccagnini al capo della polizia.

Questi ritardi, queste contraddizioni, questi comportamenti, tutto ciò che è seguito è perfettamente coerente con il "gioco" della seduta spiritica, ai cui "suggerimenti" i primi a non credere, tirandone le conseguenze, sono stati i partecipanti. Se dietro gli spiriti ci fosse stata la "fonte", allora sì che avrebbero creduto agli spiriti e si sarebbero comportati molto diversamente. Non sarà che finiscono per dare più credito agli spiriti quelli che credono alla "fonte" segreta e non credono alla seduta spiritica? freccia rossa che punta in alto

16 dicembre 2005
(Repubblica.it) MITROKHIN: GUZZANTI, DA UNGHERIA DOCUMENTI SU BR E KGB

Il presidente della Commissione Mitrokhin, Paolo Guzzanti, replica all'onorevole Bielli, capogruppo Ds nella commissione: "L'onorevole Bielli - afferma Guzzanti - sostiene che io avrei dato una 'interpretazione fantasiosa' dei documenti gia' acquisiti e di quelli che le autorita' ungheresi si sono impegnate a consegnare entro poche settimane, in cui e' trascritto il diario delle operazioni congiunte fra Brigate Rosse e la rete del terrorismo in Europa e in Medio Oriente diretta dal Kgb e pianificata dalla Stasi tedesco orientale. L'onorevole Bielli ha poca memoria perche' dimentica di aver posto personalmente la seguente domanda al rappresentante della procura di Budapest e a quello dei servizi di sicurezza: 'Ma siamo sicuri che quando dite Brigate rosse non intendiate riferirvi a generiche brigate rivoluzionarie internazionali per comodita' indicate come brigate rosse?'. Domanda alla quale il portavoce ungherese ha cortesemente risposto cosi': 'No, onorevole Bielli: si tratta delle Brigate Rosse italiane, sono le uniche brigate rosse che conosciamo'". freccia rossa che punta in alto

MITROKHIN: GUZZANTI, DA UNGHERIA DOCUMENTI SU BR E KGB

Il presidente della Commissione Mitrokhin, Paolo Guzzanti, replica all'onorevole Bielli, capogruppo Ds nella commissione: "L'onorevole Bielli - afferma Guzzanti - sostiene che io avrei dato una 'interpretazione fantasiosa' dei documenti gia' acquisiti e di quelli che le autorita' ungheresi si sono impegnate a consegnare entro poche settimane, in cui e' trascritto il diario delle operazioni congiunte fra Brigate Rosse e la rete del terrorismo in Europa e in Medio Oriente diretta dal Kgb e pianificata dalla Stasi tedesco orientale. L'onorevole Bielli ha poca memoria perche' dimentica di aver posto personalmente la seguente domanda al rappresentante della procura di Budapest e a quello dei servizi di sicurezza: 'Ma siamo sicuri che quando dite Brigate rosse non intendiate riferirvi a generiche brigate rivoluzionarie internazionali per comodita' indicate come brigate rosse?'. Domanda alla quale il portavoce ungherese ha cortesemente risposto cosi': 'No, onorevole Bielli: si tratta delle Brigate Rosse italiane, sono le uniche brigate rosse che conosciamo'". freccia rossa che punta in alto

21 dicembre 2005 (Panorama) - Sì, le Br erano manovrate dal Kgb

Seguendo le tracce di Carlos, la commissione Mitrokhin è giunta a una conclusione scioccante: i nostri terroristi compivano azioni chieste dai servizi segreti russi.

Le Brigate rosse erano o no un braccio armato del Kgb?
Si può dire oggi che la risposta è un sì definitivo. Altro che serial killer idealisti: il loro gruppo di comando faceva parte di una struttura operativa guidata dai servizi sovietici che affidavano la pianificazione del terrorismo alla Stasi tedesca cui spettava il compito di smistare le richieste ad agenzie di fiducia: dai Lupi grigi turchi alla banda di Ilich Ramirez Sanchez, più noto come Carlos, detta Separat nella Germania comunista, la Raf tedesca, Action directe francese e le Brigate rosse italiane.
La questione è stata affrontata nella Commissione parlamentare Mitrokhin con una missione al Palazzo di giustizia a Parigi un anno fa e poi a Budapest. Ed è stato proprio dai documenti ungheresi, già noti alla magistratura italiana, che la verità è emersa nel modo più scioccante: le Br facevano parte del sistema operativo del Kgb, compivano azioni richieste dal Kgb e rispondevano al Kgb attraverso una ferrea catena di comando.
La verità è emersa seguendo le tracce di Carlos che sconta l'ergastolo in Francia ma che è tuttora molto attivo in depistaggi: costui, fra gli anni Settanta e Ottanta, guidava una agenzia paramilitare con basi nell'Iraq di Saddam Hussein, nella Repubblica popolare dello Yemen del Sud con la più importante base navale sovietica, a Bucarest, Varsavia e infine a Budapest, dove però era a mala pena tollerato per i gravi problemi di ordine pubblico che i suoi guerriglieri provocavano nelle strade della capitale. Ma era comunque a lui che venivano commissionati i più importanti attentati e omicidi, insomma le «covert operations» più sporche.
Sono dunque gli anni del rapimento di Aldo Moro, della strage di Ustica, della strage di Bologna, dell'attentato al treno del Natale 1984 e dell'ondata terroristica delle Brigate rosse e in genere del terrorismo e dell'eversione. Se l'inchiesta ventennale del leggendario giudice istruttore francese Jean-Louis Bruguière è indispensabile per comprendere lo scenario internazionale del terrorismo guidato dall'Unione Sovietica, i documenti più espliciti per quel che ci riguarda vengono invece dall'Ungheria, la cenerentola del Patto di Varsavia: a Budapest, Carlos aveva i suoi covi più riforniti di armi, documenti, munizioni e denaro e da qui partiva in missione lasciando tutti i suoi materiali a disposizione degli agenti ungheresi, che in sua assenza perquisivano e fotocopiavano per redigere rapporti destinati ai superiori russi e tedeschi orientali circa le mosse del terrorista.

È stato frugando fra le carte di Carlos gestito dalla Stasi e dal Kgb che sono saltate fuori centinaia di pagine sulle Brigate rosse come parte integrante di un sistema eversivo diretto dall'estero. È una storia che a tratti sfiora il grottesco: quando, nel 1977, i sovietici annunciarono agli ungheresi che Carlos stava per istallarsi a casa loro, gli ungheresi per precauzione dettero ordine di pedinarlo con una macchina del ministero degli Interni. Ma Carlos, che si sentiva più a casa sua degli ungheresi, scaricò il caricatore della sua pistola contro l'auto mettendo in fuga gli agenti disarmati e terrorizzati che furono immediatamente rimessi in riga dai russi: niente pedinamenti, niente misure attive, ma soltanto intercettazioni e perquisizioni, con l'obbligo di consegnare subito a loro tutto il materiale raccolto. Una piccola parte di quei materiali è rimasta nelle mani degli ungheresi i quali, caduto il regime, l'hanno messa a disposizione della procura di Roma e della Commissione parlamentare sul Dossier Mitrokhin. Si tratta di più di mille pagine con la vera storia di una sezione operativa del Kgb che agiva usando le Brigate rosse. I nomi ricorrenti sono talvolta noti, come quelli di Valerio Morucci e Antonio Savasta, talvolta meno noti, come quello di Alessandro Girardi, o storpiati come quello di «Curzio», che secondo gli ungheresi doveva essere Renato Curcio.
A questo punto lo stesso delitto Moro assume una definizione molto più grave di quella che fu prefabbricata dallo stesso Kgb con l'operazione di disinformazione detta Shpora, attraverso la quale si è fatto credere che Moro fu eliminato dagli americani per ordine di Henry Kissinger che non voleva il compromesso storico, quando è dimostrato, sia dalle interviste di Kissinger che da un recente libro di Maurizio Molinari sui documenti della Cia in Italia, che è vero il contrario: gli Usa volevano aiutare il Pci a sganciarsi dall'Unione Sovietica e Moro era l'uomo sul quale puntavano per questo risultato. Ci sembra che la recente storia del nostro Paese debba essere riveduta. freccia rossa che punta in alto

22 dicembre 2005 (dagospia): Moro per sempre - Fragalà (an) contro Prodi e Cossiga. Esposto ai pm sulla "seduta spiritica" di casa Clò - e Guzzanti: vi fidereste di un uomo che racconta di una seduta spiritica sul più grave delitto della storia d'italia? -

Il deputato di An Enzo Fragala' ha presentato oggi alla stampa un esposto sul caso Moro indirizzato al Procuratore della Repubblica di Roma. Fragala' ed altri deputati di An, Fi, Lega e Udc chiedono al pm di Roma di "valutare se le condotte descritte ed ascrivibili al prof. Romano Prodi siano penalmente rilevanti" e di "valutare altresi' se anche la condotta dell'allora ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, abbia profili di rilevanza penale in termini omissivi per non avere rassegnato l'intera vicenda all'autorita' giudiziaria e per non avere disposto immediate indagini sull'episodio". Fragala' e gli altri deputati della Cdl si riferiscono alla seduta spiritica di Zapponino (Bologna) del 2 aprile 1978, nella quale "presso la casa di campagna del professor Alberto Clo' gli allegri compari si sarebbero dilettati nella evocazione degli spiriti dell'oltretomba ed avrebbero ottenuto assai importanti rivelazioni circa il nome di Gradoli. Tutto cio' nonostante i soggetti in questione fossero economisti, professori universitari e tutti ferventi cattolici. Il 4 aprile 1978 - prosegue l'esposto - Prodi, investito della 'missione medianica', faceva filtrare la notizia direttamente al ministero dell'Interno, nella persona del dottor Luigi Zanda, allora funzionario addetto al gabinetto del ministro dell'Interno Francesco Cossiga, per il tramite del dottor Umberto Cavina, capo ufficio stampa della direzione centrale della Dc. Quest'ultimo (Cavina), negli appunti presi durante il colloquio avuto con il prof. Prodi, annoto' oltre all'indicazione 'Gradoli' anche i numeri 96 e 11 che risultarono essere, all'indomani della scoperta della base logistica delle Br, il numero civico e l'interno dell'appartamento utilizzato dal terrorista Mario Moretti e dalla sua compagna Barbara Balzerani. Tale appartamento, situato all'interno 11 della palazzina di via Gradoli 96, era stato affittato al sedicente ing. Borghi dal proprietario ing. Giancarlo Ferrero, coniuge di Luciana Bozzi, collega ed amica della nota Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, alias l'agente Dario del Kgb, arrestata il 28 maggio 1979 a Roma insieme ai brigatisti italiani Valerio Morucci e Adriana Faranda". Nell'esposto, presentato alla stampa, Fragala' scrive: "Voglia l'Autorita' giudiziaria valutare se la condotta del prof. Romano Prodi sopra descritta, finalizzata ad occultare la sua fonte informativa sul covo di via Gradoli, non abbia agevolato il gravissimo atto terroristico delle Br ai danni del Presidente Moro, impedendone la sua liberazione e l'arresto dei responsabili, con la conseguenza di integrare ulteriori ipotesi di reato che si riterra' sussistere". L'esposto cita anche alcuni passaggi delle audizioni di Prodi sulla vicenda presso le commissioni parlamentari. Alla domanda se gli eventuali reati non siano gia' prescritti, Fragala' replica: "Il reato di favoreggiamento e' un reato permanente". Il Presidente della Commissione Mitrokhin Paolo Guzzanti, presente alla conferenza stampa, aggiunge: "Prodi aspira a diventare Presidente del Consiglio. Ma una persona che ha uno scheletrone nell'armadio negli Usa sarebbe sottoposta ad un interrogatorio in Parlamento, in Italia si lascia correre. Ieri ho presentato anch'io un esposto al Procuratore capo di Roma Ferrara, basandomi su una relazione di Agostino Cordova, per quanto attiene alla gestione del dossier Mitrokhin. All'epoca i Presidenti del Consiglio erano Dini, Prodi e D'Alema. I ministri della Difesa Corcione e Scognamiglio furono esclusi dalla gestione del dossier. La legge impone che l'esposto entro 15 giorni vada al Tribunale dei Ministri che poi valutera' se archiviare o meno". Guzzanti aggiunge: "Voglio ricordare anche l'intervista di Prodi nel 1991 durante il tentato golpe in Urss contro Gorbaciov ed i rapporti fra Nomisma e l'istituto Plehanov. Io penso che la Cia volesse staccare il Pci di Berlinguer dall'Urss ed era quindi favorevole al compromesso storico. Il rapimento e la morte di Moro fermarono tutto ciò".

Per Fragala' "i segreti delle Br sono due:

  1. l'eterodirezione delle Br da parte del Kgb;
  2. la cabina di regia a Firenze dove si recava Moretti".

"I piattini - prosegue Fragala' - non si muovono da soli. Si voleva coprire un informatore dal nome impronunciabile. E poi se fosse vera la vicenda del piattino, perche' non si fermarono alla parola 'Grado', cittadina piu' nota di Gradoli?". Guzzanti conclude: "Vorreste che un uomo che racconta di una seduta spiritica sul piu' grave delitto della storia d'Italia vi venda la sua auto usata? E' stata scoperta una nuova fonte di energia: quella del piattino che si muove da solo?". freccia rossa che punta in alto

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