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Roberto bartali.it

Lettera al direttore

Passa il tempo, si susseguono le interpretazioni, ma ogni volta è una delusione. Ormai ci sono abituato, non c'è evidentemente via di scampo. Forse non c'è sufficiente onestà intellettuale o forse - ed è quello che spero - una volta costruita una spiegazione ideologicamente corretta si tende (inconsciamente?) a difenderla, a diffonderla, ad assumerla come "vera verità", tralasciando però idee, deduzioni intelligenti, nuove prove che viaggiano nella direzione opposta. Sono passati 25 anni tondi tondi ma ancora non se ne esce. Visti da sinistra (cioè dal lato di Flamigni e, ultimo in ordine cronologico, del regista Martinelli) i 55 giorni del rapimento di Aldo Moro sono l'apice dell'intrusione della CIA nel nostro paese, l'apoteosi delle trame filo-atlantiche: Mario Moretti altro non è che un infiltrato che nel '74 ha fatto arrestare il cd "nucleo storico" delle Brigate rosse per prenderne la guida. Le Brigate Rosse erano dunque eterodirette dalla CIA, la quale poi nel '78 organizzò il sequestro Moro per bloccare il compromesso storico, o come ha ricostruito giustamente Rossana Rossanda tempo fa "perché sapeva che Moro vivente avrebbe aperto il governo al PCI, e che la storia italiana si sarebbe avviata quindi a una sorta, se non di rivoluzione, di progressismo antimperialista o simili". Ma il possibile ruolo che può aver avuto il Mossad (che, ricordo, era il servizio segreto di un paese in perenne stato di belligeranza ed il cui interessamento per le Br si manifesta praticamente con la nascita del gruppo) non lo consideriamo nemmeno? E il KGB dove lo mettiamo? Non vogliamo nemmeno prenderle in considerazione le rivelazioni del Dossier Mitrokhin? Voci a Sinistra lo hanno bollato come una sonora bufala, eppure negli USA sulla base di quelle pagine si è scoperto e condannato dei cittadini che lavoravano per il nemico d'oltre cortina, in Inghilterra hanno portato in tribunale perfino una vecchietta spiona di 82 anni suonati. Ma non è finita. Ci si dimentica di far un seppur minimo accenno al ruolo che può aver avuto Sergej Sokolov, agente sovietico che sotto le mentite spoglie di un tranquillo studente-borsista frequentava le lezioni dell'On. Moro e s'informava su ogni sua attività (tant'è che allo stesso Moro parve evidente che si trattasse di una spia e ne parlò al prof. Tritto), o all'ormai certa operazione Shporà con cui il Kgb accreditò a Benigno Zaccagnini attraverso la sua segreteria la tesi per cui il rapimento e l'assassinio di Moro fossero stati organizzati dalla CIA sotto la regia di Kissinger. Non sono degni di attenzione né il viaggio del dirigente del PCI Cacciapuoti in Cecoslovacchia per avvisare i Compagni di Praga che se si veniva a sapere che il loro servizio segreto aiutava ed addestrava le Br in Italia le cose avrebbero preso una brutta piega, né la strana circostanza che la mitraglietta Skorpion con cui fu ucciso il presidente della Dc fu poi ritrovata (al momento dell'arresto del duo Morucci-Faranda) nell'appartamento di via Giulio Cesare 47, di proprietà di Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, alias agente "Dario" capo della rete spionistica del Kgb in Italia. Nulla. Nel film "Piazza delle cinque lune" (nato dal sodalizio Martinelli-Flamigni) a questi fatti non si fa il minimo accenno. Eppure, e gli va riconosciuto, il loro lavoro ha permesso di fare 2 scoperte e di avere una conferma. Le scoperte riguardano la mattina della strage di Via Fani: non ci fu tamponamento tra l'auto dove viaggiava Moro e quella dei brigatisti, in più (ed uso le parole del regista):
"Esaminando l'autopsia eseguita sul corpo del maresciallo Leonardi, è risultato che tutti i proiettili che lo hanno raggiunto - sei alla schiena, due al petto e uno alla testa - sono stati esplosi da destra e non da sinistra. C'era quindi un misterioso personaggio, quel tragico mattino in via Fani, mai identificato e mai apparso nelle tante inchieste sull'eccidio, che ha sparato contro gli agenti di scorta di Moro dal lato destro della strada".
Niente da dire se non "complimenti per l'intuizione". Personalmente però avrei fatto un accenno anche agli altri brigatisti presenti in Via Fani, quelli di cui non si è mai saputo né nome né posizione, ma che sicuramente dovevano essere in Via Stresa a chiudere l'accesso, con quello che le Br definivano "cancelletto alto". Ma anche il quadro su Tony Chichiarelli ed il ruolo della Banda della Magliana è convincente. Ah, quasi dimenticavo la conferma: la versione dei brigatisti fa acqua, ma questa non è una novità. Resta comunque valido il concetto di fondo: Flamigni & C. seguendo una strada ne hanno completamente ignorate altre.

Passando all'altro lato la sostanza non cambia. La ricostruzione da Destra di cui l'On. Fragalà è senza dubbio il principale e preparato alfiere è senz'altro intrigante. Qui ovviamente si ribaltano i ruoli: le Br non erano infiltrate ed usate dalla CIA ma dal KGB, il quale ne ha favorito la nascita paventando a Curcio e Franceschini (ma anche e soprattutto a Feltrinelli, il miliardario-guerrigliero) l'imminenza di un Golpe sul modello dei Colonnelli greci (per esempio creando ad arte e con l'aiuto dell'"amico" periodico L'Espresso quella che l'On. di A.N. definisce come la "disinformatja" sul Golpe De Lorenzo...), nonché perfezionato l'addestramento militare nei campi Cecoslovacchi. Il rapimento Moro, dunque, altro non fu che una normale operazione di intelligence da parte dell'Unione Sovietica al fine di ricavare segreti NATO, un pò la versione che Rossellini - che lavorava a Radio Città Futura - ha raccontato a Liberation. Quello che però non comprende questa ricostruzione è, per esempio, la spiegazione di cosa ci facesse un colonnello del Sismi, il Guglielmi, la mattina del rapimento in via Stresa, a duecento metri da via Fani. Lo stesso Guglielmi, che faceva parte della VII divisione (cioè di quella divisione del Sismi che controllava Gladio), dipendeva direttamente dal generale Musumeci - esponente della P2 implicato in vari i depistaggi e condannato nel processo sulla strage di Bologna - ha confermato la sua presenza. Ma il particolare più inquietante è che egli non era un gladiatore qualsiasi, ma colui che nel campo di addestramento di Capo Marragiu si occupava di preparare le truppe per le azioni di commando. Fragalà omette poi di considerare gli ultimi sviluppi comprendenti ad esempio il racconto di Antonino Arconte, ex agente segreto (nome in codice G71 VO 155 M, cioè agente della struttura Gladio, anno addestramento 1971, Marina Militare, Volontario numero 155) appartenente alla "Seconda Centuria Lupi" della struttura Stay Behind. Arconte - prove alla mano - ha svelato come un nostro 'super servizio segreto' in data del 2 marzo 1978 aveva ordinato ai Gladiatori di prendere contatti con i movimenti di liberazione nel vicino Oriente, perché questi intervenissero sulle Brigate Rosse, ai fini della liberazione di Moro. Piccolo particolare: Moro doveva ancora essere rapito! Nella migliore delle ipotesi si può quindi affermare che non solo a Mosca e Parigi, ma anche a Roma (e non nell'area dell'Autonomia, quello è ormai storia, ma dal lato dello Stato) c'era chi sapeva. E se l'On. Fragalà, gli va dato atto, ricostruisce con enfasi l'influenza che il KGB può aver avuto in Italia, però trascura anche di prendere in considerazione il ruolo svolto durante i 55 giorni dalla P2 (e su questo argomento sono portato a concordare con Biscione quando considera la loggia di Gelli non tanto l'espressione dell'oltranzismo atlantico quanto la manifestazione di quella che lui definisce come "Italia non-antifascista") e dalla chiacchierata scuola Hiperyon, creata da persone apparentemente parte dell'ultrasinistra (come Corrado Simioni, Vanni Mulinaris ecc.), ma in seguito 'salvata' da un'indagine della magistratura con uno scoop di un giornale allora diretto da un P2ista. Apro e chiudo una piccolissima parentesi: possibile che i servizi segreti francesi non fossero a conoscenza del fatto che nel loro paese operava una organizzazione come l'Hiperyon, che tra le altre cose possedeva anche un castello? Personalmente ho dei dubbi.

Ma non è finita. L'on. Fragalà tira in ballo Giorgio Conforto in qualità di agente nel Kgb, dimenticando però di notare un piccolo particolare: il nome di Conforto era presente anche nell'archivio del "Noto Servizio" (o Anello che dir si voglia) ritrovato in Via Appia pochi anni fa. Che fosse un doppio agente? È probabile. Tant'è vero che recentemente è saltato fuori (ed è stato Cossiga, audito in commissione Mitrokhin, a raccontarcelo) che fu lo stesso "agente Dario" a favorire l'arresto del duo Morucci-Faranda a casa di sua figlia Giuliana con una spiata all'allora capo della squadra mobile Masone.
La questione di cosa realmente fosse l'"Anello" è però ancora tutta da chiarire. Alla sua scoperta si è arrivati dopo il ritrovamento - fatto da Aldo Giannulli - dell'archivio dell'Ufficio Affari Riservati in un deposito situato appunto in Via Appia Antica a Roma, in cui giacevano alla rinfusa documenti decisamente importanti; una sorta di discarica dei servizi segreti insomma. A quel che sappiamo dalle inchieste di Casson e Salvini dietro la sigla 'Gladio' si celavano infatti tre componenti operative: 1. Il 'Superservizio', ovvero una sorta di cupola dei servizi segreti che avrebbe pianificato la strategia della tensione (identificato da alcuni come l'ufficio R del SID e poi del SISMI). 2. I reparti militari di Stay Behind, composti da appartenenti alle forze armate (ma al cui interno funzionavano a quanto pare anche altre strutture come la 'Gladio delle Centurie' di cui ha parlato Arconte). 3. Una rete parallela, costituita da civili ed ex militari (nella quale erano confluiti anche appartenenti ad Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale). A fare da raccordo tra la reti parallele e 'Superservizio' sarebbe stata una particolare struttura denominata appunto "Anello", organismo del tutto ignoto fino a pochissimo tempo fa, cui - secondo alcuni - sarebbero da addebitare la maggior parte delle operazioni "sporche". A quel che si è scoperto questa struttura nel 1972 poteva contare su 164 uomini ed un budget di svariati miliardi. Mica male.

Ma torniamo ai giorni del rapimento. Una ipotesi manca al quadro di quelle possibili sul rapimento Moro, e si riferisce alla possibilità che nelle loro mani le Br ad un certo punto si siano trovati Aldo Moro, il Memoriale da lui scritto contenente rivelazioni di una certa importanza e i documenti inerenti Stay Behind che - come ci ha raccontato l'Ammiraglio Martini - sparirono da una cassaforte del Ministero degli interni nei giorni del rapimento e che, con il tramite del canale di ritorno, da molti dato per certo, aperto dalla famiglia Moro (in molti fanno il nome di un prete...) potrebbe essere stato portato ai brigatisti. E' una ipotesi che potremmo definire del "triplo ostaggio", un qualcosa che avrebbe potuto spaventare - e non poco - gli ambienti NATO ed attivare i servizi segreti di mezzo mondo. Cosa che in effetti avvenne. A quel punto il passaggio di mano nella conduzione della "operazione Friz" successivo alla scoperta di Via Gradoli, alla messinscena del Lago della Duchessa e del falso Comunicato n. 7 sarebbe una logica conseguenza della caccia aperta che si scatenò. Chi arrivò per primo ai brigatisti mandò quel chiaro messaggio: adesso il rapimento va dove vogliamo noi, sennò fate la fine di quelli della RAF.

Aldo Moro venne dunque veramente trasferito in un luogo di detenzione diverso da quello 'ufficiale' di Via Montalcini? La logica dice di si. La tesi secondo cui egli nella fase finale del sequestro fosse convinto si essere liberato da lì a poco è esposta in "Segreto di Stato", dove Pellegrino allude anche alla possibilità che Moro non fosse più nella prigione del popolo. La versione dei brigatisti è che Moro non si sia mosso mai da via Montalcini. C'è però il fondato sospetto, rafforzato proprio dall'ultimo brano del suo memoriale, che negli ultimissimi giorni non sia stato veramente in via Montalcini. La storia raccontata dai brigatisti potrebbe servire in realtà a coprire il vero luogo dell'esecuzione, per non mettere nei guai persone che hanno collaborato al trasferimento dell'ostaggio in un luogo diverso. Ma dove? probabilmente in una via molto vicina a via Caetani, che si trova tra l'allora sede della Dc e del Pci, forse nella zona del ghetto ebraico. È tra l'altro il convincimento di Rosario Priore e Ferdinando Imposimato, che quelle strade visitarono accuratamente con l'aiuto di un ex brigatista, Elfino Mortati, che ricordava perfettamente di essere stato ospite di un covo in quella zona. Una volta terminata la perlustrazione qualcuno spedì ai due magstrati alcune foto che li ritraevano in giro per il ghetto insieme all'ex Br. Qualcuno aveva dunque seguito e fotografato i loro spostamenti.
Ma analizziamo meglio l'aspetto inerente le trattative attivate con le Brigate Rosse durante i 55 giorni del rapimento di Aldo Moro. E' ormai certo che oltre a quelle già note portate avanti dai socialisti (con il tramite dell'Avv. Guiso da una parte e di Lanfranco Pace e del prof. Piperno dall'altra) e dal Vaticano (che era pronto a dare alle Br una importante quantità di miliardi in cambio dell'ostaggio), vi furono altre iniziative, o meglio trattative, che dovevano portare alla liberazione dell'ostaggio. La cosa diventa lapalissiana se si analizzano proprio le parole di Aldo Moro nelle lettere che scrive dal carcere (o meglio, dai carceri...) in cui fu tenuto, parole che contraddicono le versioni che ci hanno raccontato negli anni i brigatisti.
Germano Maccari per esempio ha raccontato che a Moro fu detto che la mattina della sua uccisione sarebbe stato solamente spostato, trasferito, e che non gli venne fatto capire in alcun modo che lo si stava per uccidere. La realtà invece è un'altra. C'è una lettera di Moro scritta alla moglie Noretta e datata 4 Maggio '78 dove si legge: dopo giorni di cauto ottimismo giunge ora inaspettato l'ordine di esecuzione". Ma c'è di più. C'è addirittura un biglietto, se possibile ancora più drammatico e senza un destinatario, quindi scritto nell'immediatezza dell'esecuzione, dove Aldo Moro scrive: "ormai è fatta, mi hanno promesso che faranno trovare il mio corpo insieme ad alcuni ricordi ". Dunque è evidente che lui stesso ha concordato con i carcerieri le sue ultime volontà, ed infatti nell'ultima telefonata fatta da Morucci al prof. Tritto si dice "adempiamo alle ultime volontà del presidente...", forzando con decisione la mano all'amico di Moro perché fosse proprio lui, e di persona, ad avvertire la sua famiglia. La notizia dell'esecuzione gli venne dunque data. Si spiega anche così la struggente lettera dove Aldo Moro saluta e bacia teneramente i suoi familiari, uno ad uno; prova evidente che sapeva di avere le ore contate e prova altrettanto chiara che la versione dei brigatisti è forse corretta, ma non riguarda il giorno della sua uccisione ma è riferita a qualche giorno prima. C'è infine un altro biglietto, ritenuto erroneamente come parte del Memoriale, e che invece contiene riflessioni personali di Moro, dove lo statista ringrazia le Br e dice:
"desidero dare atto che alla generosità delle Brigate Rosse devo, per grazia, la salvezza della vita e la restituzione della libertà. Di ciò sono profondamente grato".
Era dunque già libero ed in mano ad altri carcerieri? Oppure era sicuro di essere liberato a breve? O cos'altro? Nella stessa riflessione Moro afferma, rivolgendosi in modo sarcastico ad Andreotti: " Pensi che per poco soltanto rischiava di inaugurare la nuova fase politica lasciando andare a morte lo stratega dell'attenzione al Partito Comunista "; come dire: mi lasciano libero.

Ma Moro si spinge molto più in là quando dice:
"non mi resta che constatare la mia completa incompatibilità con il partito della D.C.
Rinuncio a tutte le cariche, esclusa qualsiasi candidatura futura, mi dimetto dalla D.C., chiedo al Presidente della Camera di trasferirmi dal gruppo della D.C. al gruppo misto. Per parte mia non ho commenti da fare e mi riprometto di non farne neppure in risposta a quelli altrui".

A chi scrive quelle cose, e perché? Non le scrive certo alle Br, poiché per assecondare Moretti e soci Moro avrebbe dovuto promettere di far più "chiasso" possibile una volta tornato in Parlamento proprio per destabilizzare lo Stato. Invece promette l'esatto contrario, cioè che non parlerà più. Dunque scrive ad altri che non dovevano essere dei brigatisti, sicuro com'era di essere liberato. Poi, inaspettatamente, qualcuno cambiò idea. Proprio come scrisse Pecorelli su O.P. il 16.1.1979, nel pezzo intitolato "Vergogna Buffoni!":
"Moro invece è stato ucciso in macchina [...] le trattative con le Brigate Rosse ci sono state come con i Fedayn. Qualcuno però non ha mantenuto i patti. Moro sempre secondo le trattative doveva uscire vivo dal covo al centro di Roma (?)[...] poi qualcuno avrebbe giocato al rialzo, una cifra inaccettabile, perché si voleva comunque l'anticomunista Moro morto".

Tornando al problema di fondo non ci si può esimere dal notare come ancora nel nostro paese la verità sia (mi si passi l'audace metafora) un po' come la pasta usata per fare la pizza: da 25 anni la si tira da Destra e da Sinistra a seconda della convenienza politica, ma ogni volta con forzature che creano piccoli strappi. Riconosco a Flamigni e Fragalà notevole impegno, preparazione, lucida intelligenza e - mi auguro - la buona fede, ma l'unico che a mio avviso si è provato a puntare l'indice contro la propria parte politica è stato il Sen. Giovanni Pellegrino quando ha parlato della necessità di far luce sulla così detta "area della contiguità", ossia sul mare di aiuti, appoggi, simpatie di cui le Br hanno potuto godere per più di 10 anni. Per il resto ognuno è andato dritto per la propria strada. In generale manca la volontà di mediare, di riconoscere che una tesi può anche non essere in completa antinomia rispetto all'altra, di porsi analiticamente in alto rispetto al quadro d'insieme per analizzare i fatti a 360°. Probabilmente (e come ricercatore non posso ancora omettere questa parola) intorno al caso Moro si è verificata tutta una serie di scontri ma anche di convergenze tra interessi più disparati; da Destra come da Sinistra, da parte della CIA (che nella migliore delle ipotesi sapeva), come del KGB (che un ruolo importante lo ha giocato), dalla P2 al Mossad, dalla parte filo-araba dei nostri servizi segreti a quella filo-israeliana, dalla "Gladio delle Centurie" all'ancora poco conosciuto "Anello", ai servizi Francesi. Nel mezzo c'era Aldo Moro, e c'erano poi - verosimilmente stritolate da cotanti interessi - le Brigate Rosse, le quali (ed è bene ricordarlo) erano 'Secchiane' da parte di padre ed operaie da parte di madre. Si perché non va comunque dimenticato che esse sono state un fenomeno italiano, frutto della nostra storia, della nostra evoluzione economico-sociale, di una particolare cultura politica che negli anni si è tramandata e che dal 1921 non ha mai smesso di sognare una rivoluzione socialista; una persistente parte del paese che ha vissuto dunque la 'svolta di Salerno' di Togliatti come un tradimento, ed il biennio '68-'69 (stragi comprese...) come una verosimile chiamata alle armi. Non si può non considerare poi che se è vero com'è vero che in Italia si è combattuta (uso le parole di Cossiga) una "guerra civile a bassa intensità", sono esistiti anche tradimenti, zone grige di dialogo come di 'doppiogiochismo', sia a sfondo ideologico sia - più meschinamente - per vile denaro. La verità su chi abbia avuto realmente in mano il pallino delle operazioni durante i 55 giorni è però ancora lungi dall'essere individuata senza un ragionevole dubbio. Purtroppo. Il vero problema è che fino ad oggi (fatti salvi i magistrati) la storia delle Br ed il caso Moro sono stati studiati per lo più da politici e non da degli storici, questo ha implicato la strumentalizzazione a fini - ovviamente - politici di qualsiasi teoria, nonché l'impossibilità di un sereno confronto di dati al fine di ottenere un quadro veramente oggettivo. torna ad inizio testo

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