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Roberto bartali.it

Giugno 2004

3 giugno 2004 - CASO MORO: PARLA FREATO (Il Giornale di Brescia) - Sereno Freato, già segretario particolare dello statista assassinato dalle Br, rompe il suo lungo silenzio

Il mio Moro, sgradito e segreto. - "Ho passato più tempo accanto a Moro che a mia moglie. In fondo, un politico, dovrebbe essere scapolo...". Come un prete, un giornalista, aggiunge, conversando sui "mestieri totali". L'uomo che sostiene di aver passato più tempo accanto ad Aldo Moro che alla sua famiglia - "è un punto negativo, nonostante tutto il bene che ho voluto a Moro..." -, è il dott. Sereno Freato, segretario particolare dello statista democristiano, sequestrato e assassinato dalle Brigate Rosse (16 marzo - 9 maggio 1978) dopo 55 giorni di segregazione. Sereno Freato non ha mai rilasciato interviste. Si è deciso a farlo per una di quelle circostanze fortuite e intrecciate che portano a dire "sì", in un determinato momento, dopo che hai detto "no" per anni, a tutti i giornali e le tv italiane e straniere. "Soltanto una volta - precisa - molti anni fa, ho concesso un'intervista alla Bbc sul rapporto tra la Cia e i partiti democratici in Italia... È la vita. Sono diventato segretario di Moro quasi per caso. Per caso accadono tante cose. Per pura casualità nasce questa intervista". Siamo nella casa di Sereno Freato, a Camisano Vicentino, pochi chilometri da Vicenza. Con noi c'è il sindaco di Castenedolo, Giambattista Groli, moroteo al punto di conoscere a memoria passi interi degli scritti di Moro. Allo stesso modo in cui, tanti studenti di allora, imparavano la Divina Commedia. Sereno Freato è stato un personaggio cercato ed evitato. Un personaggio scomodo, segretario particolare significa pensare a tutto, alle virtù e ai vizi della vita, della vita politica, alle necessità e alle idealità di un partito, di una corrente, di un leader. Segretario particolare significa pregare e sporcarsi le mani. Molte anime "candide" della Dc lo hanno considerato un'anima "nera". Siamo stati a casa sua quasi sei ore. Siamo entrati con una luce piena - "questi vetri e il verde che vedete oltre, mi donano una luce mediterranea, ricordano Roma..." - e siamo usciti con lo scuro. Abbiamo visto ed ascoltato le parole, le memorie e le riflessioni dichiarate al chiaro e quelle dette tra il bianco e il nero, la luce e l'ombra. Abbiamo vissuto con Sereno Freato, allo stesso modo in cui la vedova di Moro, quasi ogni giorno, lo sente, nelle ore di ogni stagione. "La signora Eleonora insiste perché io scriva un libro su Aldo Moro. Me lo dice sempre. Ma io - ironizza - dovrò essere l'uomo di un solo libro?". Sereno Freato, classe 1928, un pezzo d'uomo, impercettibilmente curvo - "del 1928 come il mio amico Cossiga, come Topolino" - sei figli, un'impresa di pannelli particolari per l'edilizia, aziende in Cina e a Malta. "È bello a Malta - commenta -. Trovi tanti uomini in chiesa e ascolti ancora il Tantum Ergo in latino...". Sei ore di conversazione finiscono strettissime in un'intervista. Ciò che conta è il clima della storia, il vento che vi è passato sopra. Oltre, tocca ad altri. - Dott. Freato, ciò che porta a Moro, immediatamente e fors'anche ingiustamente, è la tragedia del sangue. Il sequestro, l'assassinio. Non trovò mai, in quei giorni, il punto dello snodo, l'inizio, il principio della liberazione? "Il punto credo che lo scoprimmo qualche giorno dopo il 16 marzo, il giorno dell'agguato e del rapimento in via Fani. Carlo Caracciolo de La Repubblica mi chiamò e mi disse che in base ad un'indagine della redazione milanese era stata individuata la copia del giornale che Moro aveva in mano nella prima fotografia, ormai storica, sempre lugubre. Ebbene si era riusciti a stringere il cerchio, e a risalire al luogo in cui era stata venduta quella copia. Si trattava di un giornale venduto in abbonamento nella provincia di Pavia. Una delle 5mila e 400 copie in abbonamento di La Repubblica a Pavia. In abbonamento, capisce? Mi pare che da lì si sarebbe potuto aprire un grande squarcio sui sequestratori. Non se ne fece nulla". - Dott. Freato, con quali altri tentativi, a suo parere, ci si è avvicinati o ci si sarebbe potuti avvicinare alla prigione di Moro? "Dopo numerose consultazioni, contattai l'avv. Payot, l'avvocato delle Baader Meynhoff, le Brigate Rosse tedesche. Gli chiesi un interessamento. Mi disse che sarebbe andato in una zona tra il Piemonte e la Lombardia, dove, disse, avrebbe incontrato esponenti delle Brigate Rosse, forse alcuni degli stessi sequestratori. Sono sempre stato convinto che il sequestro Moro sia stato gestito al Nord. Donat Cattin mi parlava di un ufficio a Milano con la moquette... Non seppi più niente. Così, qualche giorno dopo, telefonai all'avv. Payot. Era spaventato, lo raggiunsi in Svizzera. Mi disse che la polizia italiana, che il ministro Cossiga aveva fermato l'operazione. Francesco, alcuni giorni dopo, mi portò una scatola di sigari cubani e mi confermò che "...il mio Payot era sistemato". Evidentemente riteneva controproducente quella strada...". - La via del riscatto, dott. Freato, la via del denaro, non avrebbe potuto sbloccare la trattativa? "Credo di no. I petrolieri avevano messo a disposizione una decina di miliardi. Ma non era questo il problema...". - Scusi, dott. Freato, a proposito di petrolieri. Lei subì un processo per lo scandalo petroli a Torino nei primi anni Ottanta... "Venni arrestato, mi feci 15 mesi di prigione in cinque prigioni diverse, niente arresti domiciliari. Fui assolto in primo, secondo e terzo grado. Questa è la storia. A Cuneo, carcere di massima sicurezza, chiesi, il 9 maggio, mi pare, del 1983, di pregare con i Brigatisti, Curcio e compagnia bella. Il direttore del carcere mi disse chiaramente che mi avrebbero ammazzato, se avessi continuato con quella proposta...". - Scusi ancora, dott. Freato, sempre sul sequestro, altri tentativi... "Ho il rimorso di non aver fatto abbastanza. Mi ricordo tutto. La signora Noretta che voleva vedere Berlinguer, lui che nicchiava e poi ci andò. La signora Moro era preoccupata, voleva dirgli che la prossima volta sarebbe accaduto a lui quanto era accaduto al marito. Mi ricordo, ancora, di aver sentito per la prima volta il nome di Berlusconi, proprio in quei giorni...". - Come, Berlusconi? "Ad un certo momento, qualcuno consigliò di contattare il presidente della Jugoslavia, il leader della Libia, Gheddafi. Serviva un aereo privato. Lo imprestò un certo Berlusconi. Volai dal presidente Tito con l'aereo di Berlusconi...". - Che idea si è fatta, complessivamente, di quei giorni? "Fatico a credere che le Brigate Rosse abbiano fatto tutto da sole. Ci sono delle divise azzurre in via Fani. Varrebbe la pena analizzare meglio quella presenza... Moro aveva molti nemici, Kissinger e sua moglie lo disprezzavano, questo si sa. La politica filo araba di Moro era sgradita...". - E quel giovane Sokolov, finto studente, in realtà agente del Kgb, reparto sequestri, come esce dalle schede Mitrokhin, lei lo ha conosciuto? "Conoscevo tutti i 15, 20 studenti di Moro. Lui li adorava e se li portava a colazione. Pagava lui e io gli dicevo: presidente, veniamo qui con questi 15 giovani e non riusciamo a parlare ai nostri figli, alle nostre famiglie... Moro aveva segnalato la presenza di Sokolov, gli appariva ambigua, come altre presenze intorno a lui...". - Finalmente il Moro privato... "Ricordi infiniti. Moro che tremava in volo..., che dormiva con la luce accesa..., che sognava di costruire una biblioteca al piano terra e sotto una piscina, nella sua casa di Torrita Tiberina... Moro che odiava stringere le mani delle persone ed aveva sempre una bottiglia di alcol pronta in auto per disinfettarsi... Moro che spariva due mesi, malato di una male strano... Moro che nuotava benissimo con un costume nero, ridicolo, da primo Novecento... Moro che carburava intorno a mezzanotte e teneva tutti sotto con un'energia incredibile, senza cibo né acqua perché avrebbe dovuto comunicarsi, digiuno, a messa prima...". - Infine, tra le tantissime cose ancora da dire, una, che è un simbolo della sua presenza. "Venite - dice a me e al sindaco Groli - venite...". Ci accompagna in uno studio da 5mila libri, va alla scrivania, apre il cassetto e toglie una mezza biro in metallo. "Me l'ha restituita la signora Eleonora. Era tra gli oggetti trovati addosso a Moro, dopo la consegna del suo corpo. Era una penna che gli avevo regalato...". Con quella penna, su cui Sereno Freato ha inciso la sigla, A. M., Moro ha scritto le lettere dalla prigione delle Brigate Rosse. "Me ne ha scritto tre... Due le ho avute dopo la sua morte". In una di quelle lettere Moro gli affidava la famiglia, "totalmente". In nome di un'antica amicizia. In nome di quella che nell'ultima lettera a Freato, Moro definisce la "...sua grande bontà...". freccia rossa che punta in alto

3 giugno 2004 - POLEMICA SPATARO-GALLI (ANSA) - TERRORISMO: BR; SPATARO SMONTA IL NUOVO LIBRO DI GALLI LO STORICO, PARLA DI UN LIBRO CHE NON HO MAI SCRITTO

La storia della Brigate Rosse continua a dividere. E tanto. La riprova a Milano, con la presentazione del libro di Giorgio Galli, 'Piombo Rosso' (Baldini e Castoldi, 479 pag. 16,80 euro), sottoposto a un fuoco di fila di critiche da Armando Spataro, capo del pool antiterrorismo milanese, tra i magistrati piu' esperti nella lotta all'eversione. Galli ha spiegato la "filosofia" dell'opera che racconta la nascita del movimento armato fino agli ultimi mesi del 2003, con la cattura di Nadia Desdemona Lioce: le Br nascono "dalle condizioni italiane e dalla storia della sinistra italiana"; avevano migliaia di combattenti e 10-15 mila fiancheggiatori; erano un "fenomeno sociale rilevante". Altrimenti non si spiega il ruolo avuto dai servizi segreti: un "problema" per la democrazia rappresentativa, che dovrebbe essere una "casa di vetro", mentre i servizi, per loro natura, "non possono agire come in una casa di vetro". Contraddizione di cui prendere atto, per evitare di sconfinare nella dietrologia. Spataro apprezza la fatica ma del libro e del metodo non salva quasi nulla. Il magistrato, che segui' l'inchiesta sull'omicidio del giornalista Walter Tobagi, attacca sin dalla premessa: "Mi sento addolorato che sua figlia possa oggi pensare che la morte del padre sia avvolta dal mistero, da chissa' quali strategie e contrattazioni". La morte di Tobagi, afferma, e con la sua quella di altre vittime, "e' connessa solo e soltanto a quello che rappresentavano per la democrazia in questo Paese". E Spataro non manca di sottolineare come la prefazione di un'altra pubblicazione sulla morte di Tobagi, a cui ha collaborato anche la figlia del giornalista, sia stata scritta appunto da Galli. Tornando a 'Piombo Rosso il magistrato non manca di sottolineare come "non una sola volta sia citato un atto giudiziario". "Non ho certo la pretesa che i giudici facciano la storia - commenta -, ma nel libro non e' citato un solo atto giudiziario e quando si affrontano fenomeni criminali gli atti giudiziari dovrebbero essere vagliati". Ci sono, invece dichiarazioni "estemporanee di una folla di sedicenti consulenti e avvocati" e di un ufficiale "incorso in vicende penali gravissime", con l'aggiunta di "troppe autocitazioni", mentre le parole degli stessi terroristi "sono abbandonate quando non in linea con il pensiero dell'autore". Spataro e' impietoso anche con la Commissione Stragi presieduta da Giovanni Pellegrino, che "sembra avere utilizzato la stessa tecnica" per sostenere "tesi strampalate". Tra queste quella per cui la prigione di Moro sarebbe stata nel Ghetto ebraico e non in via Montalcini, la sparizione dei documenti nel covo milanese di via Montenevoso e la sua scoperta, la figura del pianista Igor Markevitch "anello di congiunzione tra le Br e tutti i servizi segreti" perche' sposato con una contessa Caetani "e siccome la macchina con il cadavere di Moro e' stata lasciata in via Caetani...". "Possibile che tanti magistrati, come Caselli, Vigna, Calogero, Pomarici e il povero Galli non si siano mai accorti di essere stati degli utili idioti?", e' la domanda retorica di Spataro. Galli non ci sta che "sia presentato un libro diverso da quello che ho scritto" e che la sua opera sia illustrata come "un'accozzaglia di elucubrazioni". Respinge con veemenza le accuse al mittente: "Molti episodi di cui lei ha parlato non ci sono nel libro e molti magistrati sono citati; e cito anche suoi colleghi che sono orientati ad avallare questa tesi, se avanzo dei dubbi, lo faccio perche' sono stati avanzati da piu' di un magistrato". ""Non ho mai scritto di complotti a proposito dell'omicidio di Walter Tobagi, forse la figlia ritiene che non siano state utilizzate informazioni che sono state date". E ribadisce: "Non possiamo pensare a queste vicende con la logica della democrazia come casa di vetro...". freccia rossa che punta in alto

15 giugno 2004 - STORIA DELLE BR (DAGOSPIA)

Non c'è che dire! Il libro di Franceschini (con Fasanella a fare da "palo") rappresenta un mirabolico doppio salto mortale con avvitamento carpiato sulla strada della contraddizione. Non è un caso la contemporanea uscita del nuovo tomo di Famigni su Mario Moretti. Praticamente l'avvallo scientifico-cronistico delle tesi di Franceschini.
E non è un caso che lo scorso anno questa pista fosse già stata coltivata dai fondatori del Club 3F (Fasanella, Flamigni, Franceschini): Fasanella con il fantasioso libro sulla direzione d'orchestra russa del sequestro Moro, Flamigni con la consulenza per la sceneggiatura del film "Piazza delle cinque lune" e Franceschini con una serie di dichiarazioni ed interviste che, a dire la verità, in pochi avevano ritenuto credibili.
Adesso sono tutti usciti allo scoperto.
Franceschini in un'abile ricostruzione dei fatti riesce a miscelare una serie impressionante di supposizioni che arriverebbero a dimostrare che:

Flamigni, invece, è tutto concentrato sulla demolizione di due aspetti:

Vogliamo provare a tirare le conclusioni di quest'accoppiata?

Dalle deduzioni fin qui svolte proviamo a dare delle risposte a domande importanti.

  1. Le br sono un fenomeno italiano? A meno di comprendere lo stesso Franceschini tra le molteplici spie che si avvicendano nelle narrazioni la risposta è affermativa. Perché allora si ritiene artefatto il titolo del libro di Moretti e Rossanda?
  2. Le br sono un fenomeno che proviene dalla sinistra italiana? A meno che lo stesso Franceschini non sia un fascista cammuffato anche questa risposta non può che essere affermativa. Il fatto che Curcio possa avere dei trascorsi cattolici in famiglia non vuol dire che la sua formazione non possa essere considerata di sinistra. Lo stesso Moretti viene considerato un uomo proveniente da una famiglia tutt'altro che di sinistra. Se applichiamo il principio dell'ereditarietà dovremmo allora affermare che Marco Donat Cattin era un simpatico burlone e la sua militanza in PL solo un passatempo. Alcune testimonianze riportate da Flamigni descrivono Moretti come un personaggio dal comportamento anticomunista (nel suo periodo di lavoro alla Sit Siemens). Tutti i br erano anticomunisti, intendendo con questo che erano contrari alla linea del PCI e del sindacato.
  3. Quello che affermano i br sono informazioni affidabili? Moretti viene indicato come narratore di bugie a tutto campo, e tutte le versioni sul sequestro Moro degli altri br coinvolti sarebbero versioni di comodo perché non coinciderebbero. I br che hanno parlato non lo hanno fatto per chiarire responsabilità penali ma per ben altri motivi. Loro hanno sempre dichiarato di essere disposti a discutere ma non in una sede giudiziaria (i tribunali giudicano responsabilità personali) ma in un confronto politico. Le loro dichiarazioni in sede giudiziaria servono a bilanciare le loro responsabilità e la tutela dei nomi di altri partecipanti che non sono stati mai individuati. Del resto lo stesso Franceschini in relazione al sequestro Gancia non ha voluto svelare, nel suo libro, l'identità del br che assieme alla Cagol custodiva il prigioniero. Poiché in un articolo dell'Espresso di molti anni fa lo stesso Gancia, in un'intervista, dichiarò che quel br adesso è libero di presenziare in molte conferenze è forse da ritenersi tale personaggio un esponente dell'Intellighenzia? Allora anche la Cagol e lo stesso Franceschini sarebbero dei manipolati? Se vuole un minimo di credibilità penso dovrebbe comportarsi diversamente dagli altri. O no?
  4. Quanto è credibile Flamigni? Tante le inesattezze che Flamigni ha scritto nella nuova edizione de "La tela del ragno" nella quale vi sono gravi leggerezze sul tamponamento che non sarebbe mai avvenuto (basta andare alla motorizzazione di Roma per vedere ancora i segni della botta sulla macchina di Moro), sul numero di armi che avrebbero sparato (una se l'è inventata lo stesso Flamigni perché l'Ing. Calza ha dimostrato che quella che sembrava essere una nuova arma in realtà era una delle precedenti caricata male che dopo il primo colpo si è inceppata), sulla testimonianza di una presente che, secondo Flamigni, avrebbe dichiarato di non aver assistito ad alcun tamponamento ma che invece sui verbali del processo è dichiarato il contrario, sulla fantomatica presenza sulla destra della strada di un misterioso killer che avrebbe sparato su Leonardi (misterioso perché si dichiarerebbe che costui sarebbe addirittura dal Leonardi conosciuto e che per questo egli non avrebbe reagito al tentativo di uccisione) quando l'ing. Marini presente all'incrocio ha sempre dichiarato che dalla 128 sono scesi due individui e quindi i colpi provenienti dal lato destro sarebbero così giustificabili.

Conclusione:
Se si vuole dimostrare che le br abbiano subito infiltrazioni e tentativi di manipolazione da parte di servizi segreti nazionali ed esteri che ne possano aver condizionato l'evoluzione degli eventi (cosa che è molto credibile in quanto sarebbe stupido pensare che un manipolo di ragazzi riesca a controllare ambienti sociali compiendo azioni gravi per la collettività senza che quanto di più alto vi sia nell'intelligenze dello Stato non fosse neanche in grado di individuarli e tenerli sotto controllo) la strada del negare tutto e attribuire le colpe agli americani o ai russi (noi eravamo un popolo di bravi ragazzi, ed il PCI è stato un martire) non è certo la migliore. Qualcuno la chiama dietrologia. Preferisco non dargli etichette. Dico solo che è sbagliata e non aiuta a fare chiarezza su quei fenomeni. Serve solo per essere strumentalizzata da chi ha l'interesse a non chiudere il conto con quegli anni. freccia rossa che punta in alto

16 giugno 2004 - (ANSA) SOFRI: ERRI DE LUCA, VERITA' SU ANNI '70 SOLO SENZA PRIGIONIERI

"Quando non ci saranno piu' detenuti e si stara' alla pari, allora si potra' discutere e ascoltare una piu' vasta verita', quella degli uomini e delle donne, senza la camicia di forza di essere giudici o imputati". Erri De Luca, lo scrittore ed ex militante di Lotta continua, spiega cosi' le sue parole pronunciate alcune settimane fa nel corso della presentazione del libro di Aldo Cazzullo sul "Caso Sofri". In quella occasione De Luca disse che per avere la "verita' umana" sull' assassinio del commissario Luigi Calabresi occorre che siano "restituiti" i corpi di Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, condannati con Giorgio Pietrostefani a a 22 anni per l' omicidio del commissario: un' affermazione che aveva suscitato polemiche e prese di distanza, tra cui quella dello stesso Sofri che, dal carcere di Pisa, sottolineo' di non avere "ordinato o autorizzato" l' assassinio di Calabresi.
"La storia degli anni Settanta di questo Paese e' stata scritta unicamente dalle sentenze giudiziarie. A quel tempo - spiega ora De Luca su Vanity Fair in edicola domani - l'odio civile sfiguro' i tratti delle istituzioni pubbliche e favori' l'attecchimento della piu' forte sinistra rivoluzionaria del mondo occidentale"."Da militante della sinistra rivoluzionaria di allora, appartengo alla schiera dei dispersi, degli sbaragliati di quel tempo. Senza avere io subito il carico penale di quegli anni che ancora si prolunga con ergastoli e pene seminfinite, so che quei prigionieri stanno pagando il conto del 1900 anche per me. E' un sentimento di correita'..." "Pero' la storia e' piu' larga di un verdetto di tribunale e anche piu' generosa. La storia riconosce anche le ragioni dei vinti. Allora spero di arrivare a vedere il giorno in cui non ci saranno piu' prigionieri dell'odio civile degli anni Settanta".
"Nella presentazione del bel libro di - dice poi De Luca - ho ribadito questa vecchia evidenza: quando saranno e saremo tutti liberi di parlare e di tacere, senza piu' necessita' di legittima difesa, potremmo sapere quello che resta imprigionato e ridotto a fatto giudiziario. Potremo sprigionare la verita', permetterle liberta' di voci. Stare alla pari di fronte alle pene estinte, e' la condizione necessaria per invitare alla nostra tavola la signora Storia." freccia rossa che punta in alto

by abrapalabra