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Roberto bartali.it

Luglio 2002

5 Luglio 2002 - (Panorama)

- I brigatisti doc sono non più di una trentina. La mente strategica dell'organizzazione non è nemmeno in Italia. Forse vive a Parigi, più probabilmente in Svizzera. Una particolare attenzione è rivolta anche al Belgio, terra in cui alcuni esponenti delle vecchie Brigate rosse hanno trovato riparo» rivelano gli esperti dell'antiterrorismo. «Abbiamo agenti al lavoro in quei paesi per individuare i responsabili» assicurano i vertici della nostra intelligence. Tutto chiaro, fin qui, se analizziamo le ultime azioni eclatanti firmate dalle Br, gli omicidi dei giuslavoristi Massimo D'Antona e Marco Biagi, per le quali sicuramente è stato richiesto l'assenso della «mente strategica» del terrorismo. Quando, però, nelle prime ore di lunedì 29 luglio vengono scoperte a Milano e a Monza due bombe artigianali, fortunosamente inesplose, davanti a luoghi simbolo come la succursale della Fiat e la sede della Cisl, il discorso si complica. E non solo perché le azioni sono state rivendicate da una sigla, il Fronte rivoluzionario per il comunismo, ritenuta finora di secondo piano. Evidentemente l'ordine di collocare quei piccoli ordigni (lattine con materiale infiammabile e rudimentali congegni di innesco) non è arrivato né da Parigi né dalla Svizzera e nemmeno dal Belgio. Le Br doc non hanno mai dato avvertimenti con bombe facili da scoprire. Hanno sempre agito di sorpresa e a colpo sicuro. Ma le Br non possono disconoscere la logica che ha determinato le ultime azioni dinamitarde né possono ignorare le aspirazioni dei loro seguaci. Cosa sta avvenendo nel sottosuolo del terrorismo? Dall'inizio del mese di luglio, è un fiorire di messaggi brigatisti o pseudo tali: dapprima le Br hanno spedito, tramite posta prioritaria, un documento che ha messo nel mirino sindacati, Confindustria e governo, colpevoli di aver dato vita al «Patto per l'Italia». A ruota, i Nuclei territoriali antimperialisti, parenti strettissimi delle Brigate rosse, hanno invitato a risfoderare le armi. Poi, le Br hanno spedito un messaggio e mail a una televisione locale per denunciare l'inattendibilità del primo documento brigatista (e nello stesso tempo hanno dato il loro assenso alle azioni dei Nuclei territoriali antimperialisti). Adesso è emerso dai sotterranei il Fronte rivoluzionario per il comunismo che, singolarmente, riprende uno slogan "Onore al compagno Giuliani", il giovane ucciso un anno fa negli scontri di Genova ,usato dal documento sconfessato dalle Br. "Grande è il disordine sotto il cielo. Dunque la situazione è eccellente" sosteneva il presidente Mao che di rivoluzioni se ne intendeva. Dicono gli esperti antiterrorismo: "I brigatisti si stanno comportando come uno stato maggiore prossimo a lanciare una battaglia. Giocano su più piani, anche per confondere le acque". Siamo, cioè, alla fase preparatoria della "Campagna d'autunno": messaggi in codice rivolti al nemico da colpire, rassicurazioni per i complici, diatribe interne per l'egemonia e persino operazioni mediatiche, a suon di volantini, per creare consenso fra gli adepti e allarme nei cittadini e nelle forze dell'ordine. L'obiettivo è comunque evidente: inserirsi negli interstizi del disagio sociale nel tentativo di creare proseliti nel mondo del lavoro, scosso dalla frattura sindacale tra Cisl e Uil da un lato e Cgil dall'altro, e dell'antagonismo sociale solo in parte interpretato dai movimenti no global. Il piano è ambizioso ed è in incubazione da più di due anni. Dopo l'omicidio a Roma del professor D'Antona, ucciso il 20 maggio 1999, è stato un fiorire di sigle terroristiche e di bombe e bombette disseminate prevalentemente tra Milano e Roma. Una miscela che ha visto in azione sigle quali Anarchici insurrezionalisti e Solidarietà internazionale; Carc, Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo, e Cpc che sta per Comitati proletari per il comunismo, nati da una scissione dei Carc. Infine, il Nucleo proletario rivoluzionario (Npr) e i Nipr, Nucleo di iniziativa proletaria rivoluzionaria. A preoccupare gli inquirenti finora erano state soprattutto le organizzazioni Npr e Nipr, non tanto per la loro capacità militare ma per la loro elaborazione teorica pari a quella delle Brigate rosse. Erano stati gli Npr e i Nipr a proseguire, sulla scia dell'omicidio del giuslavorista D'Antona, la tematica del lavoro. Il 14 maggio 2000, i Nipr avevano colpito a Roma la sede della Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici. Due mesi dopo, il 6 luglio, il Npr aveva invece preso di mira la sede milanese della Cisl e il «Patto per Milano» alla cui realizzazione aveva partecipato il professor Biagi, con bombe incendiarie simili a quelle scoperte lo scorso lunedì 29 luglio. Sia il Npr che i Nipr si riconoscevano nel Partito comunista combattente, cioè nelle Brigate rosse. «Il confronto è aperto» sostiene ora il Fronte rivoluzionario per il comunismo. La nuova organizzazione, forte anch'essa di una buona elaborazione teorica, si presenta sullo scenario terroristico con l'ambizione di scompaginare vecchi equilibri. In sintesi dice: le Br hanno indicato la giusta strada, ma per allargare il consenso non è necessario ricorrere all'azione militarista, ma al proselitismo. «Intendiamo impegnare le nostre forze nel tentativo di sviluppare il confronto e il collegamento con altre realtà» sostengono nel complesso documento di rivendicazione. La testa pensante dei brigatisti doc riparati tra Parigi, Svizzera e Belgio è avvisata. Fanno sapere le nuove leve: prima di dare il via alla «Campagna d'autunno», tenete conto anche delle nostre idee oltre che delle nostre bombette. Perché siamo radicati nel sociale. E forse qualche nuovo militante l'abbiamo già cooptato. freccia rossa che punta in alto

10 Luglio 2002: (La Padania)
Kgb, Br e sequestro Moro: troppe connessioni sospette
Il caso sotto la lente della commissione Mitrokhin

Roma - Le eventuali connessioni tra il Kgb, le Brigate Rosse ed il sequestro Moro saranno tra i filoni di indagine della commissione Mitrokhin. L'organismo bicamerale che avrà il compito di approfondire le diramazioni in Italia della rete di spionaggio sovietica svelata dal capo degli archivi della Lubianka nell'omonimo dossier, ha infatti tra le ipotesi di lavoro quella di un'inchiesta su un aspetto del sequestro Moro rimasto sempre in ombra: che alcuni elementi di spicco delle Br potessero avere legami o contatti con il servizio segreto dell'ex Urss e che questo, insieme ad altri apparati internazionali di intelligence, abbia condizionato i tragici eventi culminati con l'assassinio del presidente della Democrazia Cristiana. «La commissione acquisirà in questo senso tutti i documenti possibili - afferma Enzo Fragalà, di Alleanza nazionale e componente dell'organismo parlamentare - compresi quelli riguardanti la vicenda del borsista russo, corrispondente dell'agenzia Tass, allievo di Moro all'Università, Sergjei Sokolov, che seguiva tutte le lezioni del presidente Dc e subito dopo il sequestro tornò precipitosamente in Urss. Si scoprì molto tempo dopo che Sokolov era in realtà un agente del Kgb. La cosa venne denunciata anche dal professor Franco Tritto, assistente di Moro all'Università, in una lettera inviata al giudice Rosario Priore. E che questi ci lesse in una delle ultime audizioni in commissioni Stragi. Di Sergjei Sokolov sentì parlare anche l'ambasciatore americano a Roma nel periodo del sequestro Moro, Richard Gardner. In uno dei rapporti inviati al Dipartimento di Stato dalla Capitale cita infatti la figura di un «certo Solokov, o Sokolov, che avrebbe avuto un ruolo nella vicenda», chiedendosi se però si trattasse soltanto di un anello più piccolo della catena. freccia rossa che punta in alto

18 Luglio 2002: (Libertà)

Hanno sempre respinto tutte le accuse sostenendo di essere perseguitati dalla magistratura e di non avere nulla a che fare con le nuove Br. Ma per Norberto e Sabrina Natali, Barbara Battista, Rita Casillo, Luca Ricaldone, Raffaele Palermo, Franco Gennaro e Stefano De Francesco, tutti componenti di Iniziativa comunista, il procuratore aggiunto Italo Ormanni e i sostituti Franco Ionta e Pietro Saviotti chiedono il rinvio a giudizio. L'accusa, associazione sovversiva. Secondo gli inquirenti gli otto indagati, arrestati il 3 maggio dello scorso anno, devono essere giudicati dal tribunale per avere organizzato e diretto «un'associazione tendente alla lotta armata e finalizzata a sovvertire violentemente l'ordine economico e sociale dello Stato». Queste, in sintesi, le motivazioni inviate al gip dall'accusa. I fratelli Natali, tra l'altro, sono iscritti sul registro degli indagati anche per l'omicidio di Massimo D'Antona, avvenuto a Roma il 22 maggio del'99. Il filone d'indagine che portò agli arresti degli otto componenti di Iniziativa comunista prese vita proprio all'indomani dell'omicidio del consulente dell'ex ministro Bassolino. Pedinamenti e intercettazioni avrebbero portato gli investigatori sulle tracce delle organizzazioni eversive nate in Italia negli ultimi anni. A supporto, un lungo rapporto dei Ros sui presunti fiancheggiatori delle Br-Pcc, che avevano rivendicato l'omicidio di Massimo D'Antona. Secondo le ipotesi del pool antiterrorismo romano, in Calabria, dove Norberto Natali era candidato alle amministrative 2001, sarebbe nata una cellula occulta all'interno di Iniziativa comunista. Nell'ordinanza di custodia cautelare, il gip Otello Lupacchini, faceva riferimento ad «accertati contatti», proprio nel maggio 2000, tra Luca Ricaldone e Nicola Bortone, militante clandestino delle Br-Pcc, e, a partire dal luglio 2000, tra Fausto Marini, cosiderato un «irriducibile», e Iniziativa Comunista. Secondo gli inquirenti, proprio la ricerca di un contatto e di una saldatura con il gruppo calabrese farebbe di Iniziativa comunista un punto di riferimento per gli uomini armati del Nucleo comunisti combattenti. Tra i fatti contestati anche l'ipotesi di un progetto di attentato ai danni del sindaco di Melissa. A sostegno dell'accusa i «comportamenti» degli indagati valutati dallo stesso tribunale del riesame e ritenuti sintomatici di una «struttura clandestina». Di concreto però, almeno da quanto trapela dalle indagini, ci sarebbe solo il ritrovamento, nelle abitazioni di alcuni indagati, di documenti ritenuti di «ispirazione eversiva». E proprio sui documenti sequestrati, i carabinieri del Ros hanno consegnato ai pm un rapporto di otto volumi. Gli indagati, che adesso dovranno sostenere l'udienza preliminare, hanno sempre ribadito l'estraneità di Iniziativa comunista alla lotta armata. Nella linea di difesa gli imputati hanno decisamente preso le distanze dai «documenti» delle Br sottolineando come non esista alcun legame tra il marxismo-leninismo e l'ideologia che ispira le Brigate Rosse. Lo stesso Natali, analizzando il documento di rivendicazione dell'omicidio del professor Marco Biagi aveva espresso una severa critica nei confronti delle Br definendo insostenibile la loro base ideologica. freccia rossa che punta in alto

21 Luglio 2002: (Vincenzo Tessandori - La Stampa )

C'è un tempo per tutte le cose e questo è il tempo delle minacce. Diffuse a pioggia, con la certezza che faranno effetto, dopo che quelle a Marco Biagi vennero colpevolmente trascurate. Così, ora la cosa è affrontata con la massima attenzione non soltanto perché l'obiettivo più vistoso è un ministro, Giovanni Alemanno, agricoltura. E l'ex gip romano Otello Lupacchini, oggi all'Ispettorato del ministero della Giustizia, osserva che «il livello di allarme terrorismo si innalza. Spero che gli inquirenti valutino con attenzione: i terroristi non vanno liquidati frettolosamente né bisogna continuare a chiedersi se siano autentici o meno. Ciò farebbe perdere tempo rispetto a un gap di 15 anni di mancate conoscenze». Qualcuno sabato della scorsa settimana ha fatto trovare all'interno degli stabilimenti Zanussi di Forlì e Fiat di Termoli un volantino firmato Brigate rosse nel quale si lanciano indicazioni che coinvolgono pure esponenti sindacali. E un'eco, quasi una lunga chiosa allo scritto delle «bierre edizione Duemila» è rimbalzata ieri al Mattino di Padova e alla Gazzetta del Mezzogiorno: dei Nuclei Anti-imperialisti Territoriali la firma. Sul loro documento i brigatisti hanno srotolato una catena di parole d'ordine. Perplessi gli analisti della controguerriglia che lo hanno esaminato e definito «contraddittorio». Per esempio, per quelle parole d'ordine: «Sostenere Pezzotta, Angeletti, colpire Trerè e Musi (segretario confederale Cisl e segretario aggiunto Uil ndr). Sostenere Bonanni, Sacconi, Parisi colpire Alemanno». Nessuno intimidisce nessuno, sembra la risposta del ministro e Cristiano Carocci, suo portavoce, sottolinea come «tacere è la più fragorosa delle risposte. In ogni modo abbiamo rafforzato le misure di sicurezza all'interno e all'esterno del ministero, la scorta è stata raddoppiata». Perché il ministro e perché gli altri? Forse, si fa sapere, la crescita politica di Alemanno, leader della così detta corrente sociale di An, ha finito per stuzzicare l'attenzione dei terroristi. In altre parole, lui è uno a cui non piace il muso contro muso, ma con quell'ostinazione tipica di chi scala le montagne, cerca il dialogo. E ciò rischia di far funzionare un sistema che, come proclamava una parola d'ordine di tempi che si credevano passati, «si abbatte, non si cambia». Con velenosa astuzia, i terroristi, nel documento oppongono nomi ad altri, sicuri di cavalcare quel venticello chiamato calunnia capace, se non imbrigliato subito, di provocar danni irreparabili. Non è un caso che gli assassinii di D'Antona e Biagi siano indicati come momenti di assoluta importanza: e finché i loro autori non verranno smascherati e presi, c'è il rischio che rappresentino una calamita per chi vede il futuro spazzato dal vento della follia del terrorismo. Gli autori ne sono consapevoli e così sottolineano «la capacità organizzativa delle Br Pcc nel territorio»; e truci assicurano che «strutture burocratiche e simboliche sono state colpite e altre lo saranno». Dunque, un disegno a lungo termine che vorrebbe toccare «nuovi obiettivi delle privatizzazioni della scuola, della sanità, dei diritti di rappresentanza negati» e parla di «azione strategica contro chi deve temere ma ancora non essere eliminato». Col loro linguaggio, vorrebbero indicare come logica e accettabile «la strategia politica proletaria rivoluzionaria adeguata ad attaccare lo Stato, gli uomini che nel sindacato e nello stato sostengono il progetto neocorporativo contro i lavoratori e il proletariato». L'analisi va avanti complicata: «paradossalmente gli interessi della destra e del capitale favoriscono la lotta di classe» perché «a loro interessa disarticolare l'iniziativa neocorporativa che ha contraddistinto l'opzione unitaria del sindacato o di chi, già da tempo individuati e facilmente eliminabili, si è adoperato per attenuare lo scontro sociale, alle brigate rosse per il partito comunista combattente si impone una strategia altrettanto sofisticata di sostegno strategico alla destra, favorendo chi in Cisl e Uil opera in collateralità al Governo». E dopo le intimidazioni, il «programma di lavoro», di certo sarà materia di studio, per non dire un rompicapo, per gli uomini dell'antiterrorismo, alla ricerca di un successo concreto da molto prima dell'assassinio di Massimo D'Antona, avvenuto a Roma il 20 maggio `99: cioè quasi in un'altra èra geopolitica. E questo chiamiamolo progetto, sottolinea la necessità di organizzare «aree di immigrati nel veneto e Bologna» e «consolidare i rapporti organizzativi con gruppi di fuoco islamici in Lombardia ed Emilia Romagna». Mica tutto: «Consolidare l'internazionalizzazione del progetto rivoluzionario dei movimenti, compagni no global e compagni comunisti dovranno ritrovarsi in una sola strategia di lotta e di organizzazione». La prosa dell'altra missiva, non appare poi così diverso. Ancora i delitti D'Antona e Biagi sono punti centrali dello «scontro in atto nel nostro Paese». Ancora: «La borghesia imperialista ha compiutamente prodotto il suo massimo sforzo nell'intervento di riforma del sistema lavoro nello spostamento della negoziazione neocorporativista alla forzosa modifica costituzionale con cui Articolo 18 Libro Bianco Statuto dei lavori e ora Patto per l'Italia si qualificano quale espressione complessiva della progettualità dominante in antagonismo a quella della classe». Ambiziosi i sei obiettivi che toccano pure il capitolo tanto caro ai rivoluzionari del tempo che fu: la guerra di classe di lunga durata. Sì, c'è un tempo per tutte le cose e questo è il tempo delle minacce. freccia rossa che punta in alto

28 Luglio 2002: (G. Cipriani su "Il Nuovo")

- L'ultimo documento a firma Br-Pcc è arrivato nei giorni scorsi. L'annuncio della ripresa della lotta armata, di una prossima risoluzione strategica. E poi minacce al ministro dell'Agricoltura, Alemanno e ai dirigenti di Cisl e Uil, Treré (da tempo sotto scorta) e Musi. Che quel documento fosse un falso, gli inquirenti lo avevano capito immediatamente, per tutta una serie di stranezze. Ma adesso le indagini hanno consentito di accertare una circostanza inquietante: chi ha materialmente redatto il falso volantino delle Brigate Rosse è la stessa persona (o si tratta dello stesso gruppo) che già nella primavera del 2000 fece recapitare una breve nota, sempre con la stella brigatista a cinque punte, con minacce ad esponenti del sindacato, in quel caso Giorgio Ghezzi della Cgil e sempre Treré. Questo può voler dire molte cose. Una su tutte: in questo periodo di falsi volantini, false rivendicazioni c'è qualcuno che, in maniera sistematica, quasi scientifica, prepara falsi ben congegnati per alimentare tensioni, depistagli, divisioni. Una strategia della disinformazione che, per gli inquirenti, è pericolosa come le stesse Brigate Rosse. Eppoi che la stessa mano sia ricomparsa in due periodi "caldi" per fabbricare falsi volantini brigatisti vuol dire che non siamo in presenza di qualche mitomane. Ma di persone che pianificano i loro interventi a tavolino. Perseguendo obiettivi oscuri che, comunque, fanno leva su ogni tipo di provocazione. Non solo: la lettura comparata dei due testi ha anche consentito di stabilire che i "falsari", con un linguaggio assai simile a quello dei brigatisti veri e una buona padronanza del confronto sindacale, hanno cercato di alimentare dubbi, sospetti e divisioni tra Cgil, Cisl e Uil. Nei volantini si insinua, si lascia intendere. Il modo migliore per avvelenare un clima che, già di per sé non è tra i più tranquilli. Ma come è stato stabilito che sono opera della stessa persona? Intanto c'è l'intestazione, che è identica. Si tratta, infatti, della scritta "Brigate Rosse" comparsa sulla rivendicazione dell'omicidio D'Antona. I falsari l'hanno fotocopiata a mo' di frontespizio. Non solo: nei testi compaiono alcuni "tic" linguistici, come quello di fare cataloghi di nomi. Ad esempio i falsi-br nel 2000 avevano scritto: "(...) con le iniziative romane - Treré-Ghezzi-commissione Giugni - quelle venete... (...)". Nei giorni scorsi era stato affermato: "Sostenere Pezzotta/Angeletti, colpire Treré, Musi, sostenere Bonanni/Sacconi/Parisi, colpire Alemanno". Altre due frasi comparse nei due falsi testi obbediscono alla stessa impostazione. E' stato scritto nel volantino fasullo del luglio 2002: "Consolidare i rapporti organizzativi con i gruppi di fuoco islamici in Lombardia e Emilia Romagna, riavviare cellule e terminali nelle Rsu, riorganizzare i compagni del Piemonte e del Friuli, avvicinare aree immigrati nel Veneto e Bologna". Due anni fa i professionisti della disinformazione avevano sostenuto che la lotta armata era stata rilanciata attraverso le "iniziative romane, quelle venete e dei compagni del Friuli, di Milano e di ripresa con i compagni comunisti delle Rsu in Liguria, Toscana, Piemonte, Emilia e Campania". Due schemi quasi identici, riferimenti alle Rsu compresi. Pochi dubbi, allora, che l'autore sia lo stesso o sia lo stesso gruppo. Anche perché un'altra somiglianza è nel contenuto. Nel messaggio esplicito e implicito di quelle affermazioni falsamente attribuite ai brigatisti. Infatti i depistatori sostengono che la radicalizzazione dello scontro è un bene: favorisce i disegni di chi persegue la lotta armata, che non sopporta le figure di mediazione. Nei giorni scorsi sono stati indicati Alemanno, Treré e Musi. Stessa filosofia di due anni fa, quando i falsi brigatisti avevano affermato che il presunto "patto" tra D'Antoni-D'Alema e Amato, radicalizzando "lo scontro con i compagni della Cgil", aveva rilanciato le prospettive di lotta armata. I falsi brigatisti, dunque, già da due anni cercano di seminare divisioni tra il sindacato, presentando Cisl e Uil come già completamente asservite ed una Cgil solo in parte avviata in quella direzione. Che si tratti di persone che ben conoscono le dinamiche sindacali non c'è dubbio. Nei giorni scorsi i falsi brigatisti parlavano dei "diritti di rappresentanza negati". Due anni fa se la prendevano con chi aveva ridefinito in peggio le "norme sulla rappresentanza sindacale dei lavoratori". Ma di chi si tratta? Sicuramente gli autori non sono brigatisti. Il resto è difficile dirlo, senza cadere nella tentazione dietrologica di incolpare i soliti servizi segreti. Le uniche cose che si possono affermare è che chi sta dietro ai due falsi volantini non è digiuno delle dinamiche sindacali e, appunto, non è un esponente delle Br-Pcc. Quale sia il disegno non è ancora chiaro. Ma gli esperti dell'antiterrorismo temono che, alla fine, anche questi falsi e questi veleni creino quel clima di tensione e divisione che vogliono sia i terroristi che chi, per altri motivi, magari spera in una nuova stagione di paura, necessaria anticamera della normalizzazione. freccia rossa che punta in alto

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