Questo sito è accessibile da tutti i browser e dispositivi di navigazione Internet, ma il design e alcune funzionalità minori dell'interfaccia saranno visibili solo con i browser che rispettano gli standard definiti dal W3C.

This site will look much better in a browser that supports web standards, but it is accessible to any browser or Internet device.

Roberto bartali.it

Luglio 2003

5 luglio 2003 (Il Corriere della sera)
MORO: I DOSSIER SEGRETI SU SIFAR E LOCKHEED
Sifar e Lockheed, i dossier segreti di Moro

Quattro fascicoli di documenti del leader dc "top secret" dal 1978. Ora una commissione deciderà se divulgarli - A venticinque anni esatti dalla sua morte, il 9 maggio scorso, una firma del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha riportato a galla quella parte dell'archivio di Aldo Moro ancora custodita a Palazzo Chigi e coperta dal segreto. Quattro faldoni di carte raccolte per argomento, su altrettanti temi ritenuti "sensibili" dopo l'uscita di scena del presidente democristiano sequestrato e ucciso dalle Brigate rosse: il caso Sifar-De Lorenzo, lo scandalo Lockheed, le vicende dell'industria siderurgica Cogne, alcune questioni di politica internazionale. Un quarto di secolo non è bastato a decidere che quei dossier venissero accorpati al resto dei documenti di Moro presso l'Archivio di Stato, e la nuova commissione istituita per decreto dal premier proprio nel giorno del venticinquesimo anniversario dell'omicidio deciderà cosa farne. Nel frattempo la Procura della Repubblica di Brescia, che ancora indaga sulla strage di piazza della Loggia (28 maggio 1974, 8 morti e 103 feriti), ha mandato un perito a spulciare quelle carte, invocando la norma che impedisce di opporre il segreto di Stato di fronte a fatti eversivi dell'ordine costituzionale. Il professor Aldo Giannuli, inviato dai magistrati a leggere i documenti, consegnerà nei prossimi giorni la sua relazione, ma non avrebbe trovato nulla di rilevante tra i fascicoli ancora protetti dal "vincolo di riservatezza". È stata la vedova dello statista democristiano Eleonora Moro, tramite l'avvocato Nino Marazzita, a sollecitare il governo perché tutti i documenti del "compianto presidente" venissero raccolti e classificati all'Archivio di Stato, "in attuazione della sua esplicita volontà". L'ultima lettera scritta per conto della signora porta la data del 27 giugno 2001. Prima di allora, tutto era fermo alle deliberazioni di due commissioni appositamente nominate per studiare le carte dell'uomo politico assassinato dalle Br. Dopo l'omicidio, nel 1978, gli ufficiali della Guardia di Finanza andarono nello studio privato di Moro in via Savoia, a Roma, e cominciarono a esaminare il contenuto dei sei armadi di carte raccolte in quelle stanze. Ma quando si trovarono di fronte ai titoli dei documenti conservati da chi era stato presidente del Consiglio per sette anni (dal 1963 al '68, e dal '74 al '76), oltre che più volte ministro, decisero che quel materiale era "sensibile", misero i sigilli agli armadi e se ne andarono. Passati cinque anni, nel 1983, una prima commissione istituita dal governo cominciò a esaminare le carte, e nel 1985 concluse che, su quattro armadi visionati, quattro faldoni intitolati appunto ai casi Sifar e Lockheed, all'industria di Cogne e ad argomenti vari di politica estera restavano "sensibili" e non potevano essere messi a disposizione degli studiosi. Le schedature del Sifar, lo scandalo Lockheed e la politica estera erano vicende su cui si poteva imporre - teoricamente - non solo la riservatezza ma anche il segreto, mentre sulla "Cogne", uno dei capisaldi della siderurgia bellica italiana all'epoca nelle mani dell'Iri, si potevano forse intravedere tracce di presunte tangenti o corruzioni. I documenti furono trasferiti a Palazzo Chigi e lì rimasero, sempre sotto chiave. Per alcuni anni il lavoro degli analisti sui fascicoli si interruppe, e solo nel 1993 una seconda commissione governativa esaminò il contenuto degli ultimi due armadi, non trovando nulla di "sensibile" e dando il via libera per l'Archivio di Stato. I quattro faldoni segretati, invece, restarono nella sede del governo, dove nessuno se n'è più occupato fino al sollecito della vedova Moro del 2001. È da lì che è nata la nuova commissione istituita da Berlusconi, presieduta dall'ex capo della polizia ed ex consigliere di Stato Giuseppe Porpora. L'esame dei fascicoli è già cominciato dal primo, quello relativo alle schedature fatte dal servizio segreto quando si chiamava Sifar ed era guidato dal generale De Lorenzo, nella prima metà degli anni Sessanta. La maggior parte della documentazione "riservata" o "riservatissima" all'epoca dei fatti, quando proprio Moro era capo del governo italiano, nel corso degli anni è diventata nota; a cominciare dalla relazione della commissione Beolchini che analizzò i fascicoli del Sifar e sulla base della quale ne fu ordinata la distruzione. Moro ne teneva una copia, con la dicitura "segreto", nel suo studio privato: su quel documento oggi non c'è più alcun vincolo, come su tanti altri, ma le carte dovranno essere esaminate una ad una dai commissari prima di poter diventare pubbliche. E forse per la fine del 2003 saranno caduti anche gli ultimi segreti sull'archivio di Aldo Moro che resistono da più di un quarto di secolo. freccia rossa che punta in alto

11 Luglio 2003 (Gazzetta del Sud)
I troppi buchi neri dell'uccisione di Moro

- «Pieno sostegno alla volontà della famiglia Moro di far luce, una volta per tutte, su una delle pagine più nere della storia del nostro Paese. I primi passi compiuti dai familiari dello statista Dc dimostrano che grazie al materiale contenuto nel "Dossier Mitrokhin" e grazie alla serrata inchiesta condotta dalla Commissione si illuminerà finalmente una delle più inquietanti zone d'ombra dell'"affaire Moro", che inspiegabilmente in questi anni è stata tenuta nascosta addirittura agli stessi inquirenti: il ruolo di Sergej Sokolov». Lo afferma Enzo Fragalà, capogruppo di An in Commissione Mitrokhin. Fragalà aggiunge: «Il lavoro della Commissione d'inchiesta, che la sinistra vorrebbe affossare, sta facendo luce come un potente riflettore sui troppi misteri irrisolti del dopoguerra italiano. Uno di questi è proprio la figura di Sokolov, ufficiale del Kgb, un protagonista d'eccezione della vicenda, cui è giunto il momento di attribuire un preciso ruolo. Quel Sokolov che ritroviamo in contatto con il capo della Residentura del Kgb di Teheran che preparò e addestrò il futuro attentatore alla vita di Karol Wojtyla prima che costui fosse trasferito a Sofia, ospite per tre mesi nell'albergo di Stato della capitale bulgara per poi venire portato quel 13 maggio del 1981 a piazza San Pietro per tentare di spegnere la vita di colui che Andropov, direttore del Kgb, riteneva assai significativamente come il pericolo numero uno per il comunismo mondiale». «Un'altra delle "relazioni pericolose" - continua Fragalà - su cui bisogna far luce è la vicenda di Giorgio Conforto e del gap di informazione che, anche in questo caso, c'è stato fra servizi segreti e magistratura. Nessuno infatti avvertì i magistrati che interrogavano Giuliana Conforto che suo padre era un agente accertato del Kgb, per giunta ritenuto in attività fino alla sua morte, checchè ne dica la sua famiglia. Anche in questo caso è sufficiente consultare i fascicoli a disposizione nell'archivio della Commissione Mitrokhin. È grave che i magistrati non seppero nulla nonostante il pronto interessamento e l'invito ad approfondire la vicenda giunto da parte dell'allora ministro dell'Interno, Francesco Cossiga. Nella migliore delle ipotesi possiamo dire che il caso fu sottostimato». «Un altro dato inquietante - prosegue il deputato di An - è il salto temporale di diversi mesi che si riscontra nella documentazione relativa a Giorgio Conforto - un vuoto sinistro che coincide con il periodo del sequestro Moro - e la discrasia, inspiegabile dal punto di vista burocratico, di un atto del Sismi che cita in oggetto il richiamo al protocollo di una lettera di quattro anni prima. I familiari di Moro potranno anche valutare le pagine del "Dossier Mitrokhin" che rivelano la disinformatija denominata "operazione Shpora" con cui il Kgb accreditò a Benigno Zaccagnini attraverso la sua segreteria la clamorosa tesi che il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro fossero organizzati dalla solita Cia sotto la regia del segretario di Stato statunitense Henry Kissinger. Il tutto nella cornice delle attività di addestramento e finanziamento delle Brigate rosse da parte dei servizi segreti cecoslovacchi che fornirono a Moretti la famigerata mitraglietta Skorpion di fabbricazione cecoslovacca con cui fu recisa la vita del presidente della Dc e che fu poi ritrovata nell'appartamento di via Giulio Cesare 47, non a caso di proprietà di Giuliana Conforto, figlia di Giorgio alias il mitico agente "Dario" capo della rete spionistica del Kgb in Italia». «Così - continua Fragalà - come sarà utile riesaminare l'inchiesta della Commissione stragi sulla seduta spiritica organizzata dal professor Romano Prodi a Zappolino, vicino Bologna, dove secondo l'insigne economista venne fuori dallo spirito di Giorgio La Pira l'indicazione di via Gradoli, cioè del covo da cui Mario Moretti si muoveva ogni mattina durante i 55 giorni del sequestro per recarsi in via Montalcini ad interrogare il prigioniero. Ci appelliamo al presidente Guzzanti affinché la Commissione collabori con i legali della famiglia Moro e metta a loro disposizione i documenti cui possono avere accesso». freccia rossa che punta in alto

17 luglio 2003 ANSA:
MORO: FLAMIGNI, TOMBALE AFASIA SU 'NOTO SERVIZIO' E DUBBI SU MORTE MACCARI

"Devo confessare un mio personale disagio e stupore di fronte al silenzio che circonda rivelazioni del genere: un altro caso che mi viene in mente è l'inossidabilita' con cui le istituzioni di questo Paese hanno assorbito, in una tombale afasia, lo smascheramento del 'Noto servizio', una intelligence nell' intelligence, un apparato nell' apparato. Straordinario, visto che qui si sta parlando di qualcosa che è stata diretta emanazione della Presidenza del Consiglio". Sergio Flamigni, ex senatore e tra i maggiori studiosi del caso Moro, intervistato da 'La Rinascita', settimanale del Pdci, torna sui misteri che circondano il rapimento e la morte del presidente della Dc.
Flamigni prende spunto anche dalle rilevazioni del settimanale 'Diario' sul Noto Servizio, nome in codice 'L'Anello', che avrebbe avuto ruolo diretto nei tentativi di liberazione di Moro e di individuazione della prigione dello statista. Ma Flamigni ricorda anche altre inchieste difficili, ad esempio sul traffico d'armi, dove non si sono voluti o potuti approfondire innumerevoli aspetti internazionali: "Fuori di dubbio, sia chiaro, uno dei contesti piu' delicati e difficili da affrontare. Eppure, con un certo sforzo, oltre confine è stato appurato un fatto: in Francia, nel mese di febbraio del '78 era gia' noto che nel nostro Paese si stava preparando il rapimento di Aldo Moro". Ma Flamigni torna a parlare della morte del presunto quarto uomo di via Montalcini, Germano Maccari: "Nessuno, dico 'nessuno', ha chiesto un perito di parte durante quell' autopsia. Nessuno tra quelli che hanno giocato la partita del rapimento Moro ha espresso alcun dubbio sulla morte di Maccari in carcere. Una fine sopraggiunta grazie a un infarto, per un uomo sulla quarantina rinchiuso nel silenzio di una cella in piena estate. L'improvvisa morte di Maccari mi appare veramente misteriosa, misteriosa e vantaggiosa. Sì, ma solo per alcuni. Ad esempio per chi ha composto il vertice Br durante il rapimento Moro... parlo di tutti quelli che, come Moretti, vogliono raccontarci che non c'è più nulla da indagare sul sangue dello statista Aldo Moro". freccia rossa che punta in alto

22 luglio 2003 ("Liberazione")
CASO MORO: LETTERA ROSSANDA

- A proposito di un film sull'uccisione di Aldo Moro e di una lettera a "Liberazione" Le Cinque lune non erano della Cia Caro Curzi, mi ha sorpreso che una vostra lettrice vi abbia scritto proponendovi di appoggiare come documento storico e culturale da far vedere nelle scuole il film "Piazza delle cinque lune" di Renzo Martinelli, che l'avrebbe illuminata sul sequestro e l'uccisione di Aldo Moro. Immagino che sia molto giovane se no forse ne avrebbe qualche memoria. E tuttavia mi sorprende in una ragazza che la persuada tanto una versione della storia italiana recente in chiave "complotto della Cia" che permette di non farsi nessuna domanda e rimandare a potenze oscure e servizi segreti una vicenda che è tutta di casa nostra. Sarebbe stato opportuno che Liberazione desse una risposta. Vedo invece uscire oggi una lettera analoga anche se con qualche esitazione in più, anch'essa senza risposta. Mi permetto dunque di precisare io stessa un paio di cose nella sostanza e nel merito. Nella sostanza, il film di Martinelli riflette la posizione di una parte del Partito comunista italiano dopo il sequestro, uscita in alcuni libri come quelli dei fratelli Cipriani o del senatore Sergio Flamigni, secondo i quali nulla poteva e doveva essere fatto per salvare la vita di Aldo Moro perché era stato catturato per essere ucciso dalla Cia, i cui agenti erano infiltrati nelle Brigate Rosse; anzi lo stesso leader delle Br di allora - gli altri "storici" essendo in carcere - Mario Moretti sarebbe stato un agente americano. Il Dipartimento di stato avrebbe organizzato l'operazione perché sapeva che Moro vivente avrebbe aperto il governo al Pci, e che la storia italiana si sarebbe avviata quindi a una sorta, se non di rivoluzione, di progressismo antimperialista o simili. Le vere vittime, accanto a Moro, sarebbero state dunque la politica di Berlinguer e tutto il paese. A dir la verità il Pci non ha mai sostenuto apertamente questa tesi, si è limitato a lasciarla circolare. Messo alle strette, lo stesso senatore Flamigni ammette di non poter dichiarare che sia andata così. Un ex br, Alberto Franceschini, lascia intendere ma non afferma. Infine nessun procuratore della Repubblica e nessun giudice dei molti processi fatti sul caso Moro ha mai accettato neanche da lontano una tesi simile. Mario Moretti è stato condannato a mezza dozzina di ergastoli, cosa che per un agente della Cia sarebbe davvero strana. Le Brigate Rosse sono state un gruppo italiano estremista, armato, formatosi nel 1968-69, e che ha agito anche con sequestri e dal 1976 in poi con uccisioni; non era il solo ma è stato il più forte. Mario Moretti è stato arrestato nel 1981, le Br si sono in seguito divise in un paio di tronconi che hanno continuato con azioni più sporadiche per qualche anno nel corso degli anni Ottanta. Non risulta che chi agisce oggi sotto il nome di Partito comunista combattente sia un loro troncone. Nel metodo. Mi è capitato di scrivere altre volte che nella storia l'essenziale non è mai invisibile, e cercare complotti e orchestrazioni segrete è un modo per non guardare a quel che si vede e alla responsabilità che in piccolo ciascuno ha in quel che di visibile oggi avviene. Ieri peraltro è stato il ministro Castelli ad uscirsene con un "non si sa ancora chi ha ucciso Moro", mentre misteri non ce ne sono. Un giovane poi, messo davanti a una storia come questa, dovrebbe aver voglia di informarsi: ci sono atti processuali, dichiarazioni, libri e documenti, ultimo quello di un insospettabile storico e archivista, Vladimiro Satta; ne ha scritto Giorgio Bocca a suo tempo, ne ho scritto io, ne ha scritto la Commissione stragi. Si trovano in qualsiasi biblioteca.
Informarsi non è soltanto - sarebbe già molto - farsi un'idea della storia degli Anni Settanta e di che cosa fu in essa lo spezzone degli armati, ma anche un dovere. I brigatisti hanno sbagliato nell'analisi politica e nel ricorso a quel tipo di violenza contro un presunto "cuore dello stato" - cuore che non c'è e non c'era già allora da nessuna parte. Inoltre nessuno merita di morire per mano altrui e Aldo Moro - che io non considero affatto un santo - non lo meritava. Ma non è giusto dire che tutta quella parte della generazione che si è armata era composta di mercenari e mascalzoni al servizio degli Stati Uniti o di un altro paese estero. Che allora il Pci abbia temuto che fossero figli o nipotini suoi si può spiegare - era sotto sospetto e avrebbe dovuto chiedersi dove erano stati i suoi errori o quantomeno la sua mancanza di egemonia per far deviare a questo modo una parte della generazione del 1968. Fu più semplice per il Pci dire: sono fascisti. Non è vero, erano un pezzo di sinistra, hanno sbagliato tutto, quelli che non sono morti hanno pagato e stanno pagando. Gettargli addosso l'accusa di essere prezzolati è una scorciatoia ignobile commessa da chi con un film vuol fare quattrini, con l'appoggio dell'attuale governo, ma che non dovrebbero consentirsi i nostri più giovani compagni o amici né glielo dovremmo consentire. Ti ringrazio, Rossana Rossanda freccia rossa che punta in alto

by abrapalabra